CHIRURGIA
L’intervento chirurgico ha l’obiettivo di asportare il tumore al seno in modo da ridurre il rischio che si riformi e possa diffondersi in altri organi. In genere è il primo trattamento che viene eseguito anche se a volte viene preceduto da terapie mediche che hanno l’obiettivo di ridurre le dimensioni del tumore per facilitarne l’asportazione. Qualche giorno prima dell’intervento chirurgico, i medici esaminano lo stato di salute generale della paziente. La valutazione comporta una serie di esami che variano in base all’età e alle condizioni generali della paziente e può comprendere la radiografia del torace, un elettrocardiogramma e degli esami del sangue.
L’intervento dipende dal tipo di tumore, dalla sua localizzazione, dalle sue dimensioni e da quelle del seno, e da quanto tessuto attorno dovrà essere rimosso. Vi sono diversi tipi d’intervento: conservativo, cioè di asportazione parziale del seno (tumorectomia o quadrantectomia), oppure asportazione completa (mastectomia).
CHEMIOTERAPIA
Con il termine chemioterapia si intendono le cure che prevedono la somministrazione di farmaci che eliminano le cellule tumorali sfruttandone la maggiore velocità di riproduzione rispetto a quelle sane. Infatti, le molecole utilizzate in questi trattamenti interferiscono con i meccanismi di replicazione delle cellule: tanto più rapida è la loro proliferazione, tanto più intenso sarà l’effetto tossico. Tuttavia, la replicazione è un processo che tutte le cellule compiono periodicamente. Per questo motivo i farmaci chemioterapici colpiscono anche le cellule sane dell’organismo come, per esempio, quelle della pelle, dei bulbi piliferi o del midollo osseo, provocando importanti effetti collaterali, destinati nella maggioranza dei casi a risolversi una volta terminata la cura. La scelta di utilizzare, o meno, la chemioterapia viene presa in base al tipo di tumore, alla sede in cui è localizzato, alla sua sensibilità alla chemioterapia, allo stadio della malattia, allo stato di salute generale del malato.
Gli obiettivi principali della chemioterapia sono: eliminare la malattia; ridurre il volume del tumore prima dell’intervento chirurgico (chemioterapia neoadiuvante); ridurre il rischio di recidiva dopo l’intervento chirurgico e la radioterapia (chemioterapia adiuvante); rallentare la progressione della malattia quando è in stadio avanzato e alleviare sintomi importanti, (chemioterapia palliativa).
RADIOTERAPIA
La radioterapia è un trattamento che utilizza radiazioni ad alta energia per distruggere le cellule tumorali in un’area delimitata. I raggi impediscono crescita e moltiplicazione delle cellule tumorali ma allo stesso tempo danneggiano quelle dei tessuti sani circostanti. Per questo motivo, i trattamenti sono pianificati per provocare il massimo danno alle cellule tumorali e di limitare contemporaneamente il danno ai tessuti sani circostanti. La radioterapia può essere utilizzata in varie tappe del percorso di cura ed è considerata la terapia più efficace dopo l’intervento chirurgico per diminuire il rischio di recidiva locale. Infine, può essere somministrata nella malattia avanzata a scopo palliativo per ridurre i disturbi causati dalla malattia e migliorare la qualità di vita. La radioterapia si effettua in ospedale ma non necessita di ricovero. Può essere effettuata con varie modalità:
- radioterapia esterna o radioterapia transcutanea: le radiazioni provengono da un acceleratore lineare che ha la possibilità di ruotare attorno al corpo e di posizionarsi in punti opportuni per irradiare con grande precisione la zona da trattare.
- radioterapia interna o brachiterapia: una sorgente di radiazioni, opportunamente sigillata, è collocata all’interno del tumore o nelle immediate vicinanze.
- radioterapia intraoperatoria(IORT): Una singola dose molto elevata di radiazioni è somministrata durante l’intervento chirurgico per irradiare la zona dalla quale è stato asportato il tumore.
- terapia radiometabolica: consiste nell’uso di radiofarmaci che, in forma di iniezioni, capsule o liquidi contenenti radioisotopi, sono somministrati per via endovenosa, orale o endocavitaria (cioè all’interno di una cavità corporea).
TERAPIA ORMONALE
La terapia ormonale consiste nella somministrazione di farmaci che bloccano l’attività degli estrogeni, ormoni normalmente prodotti dall’organismo ma responsabili dell’insorgenza e sviluppo di almeno due terzi dei tumori al seno. Può essere usata per ridurre le dimensioni del tumore prima dell’intervento chirurgico (terapia neoadiuvante) oppure, più spesso, dopo l’operazione ed eventuali chemioterapia e/o radioterapia, per evitare la ricomparsa della malattia. La possibilità di essere sottoposte alla terapia ormonale dipende dalla presenza di recettori per gli estrogeni e/o per il progesterone sulla superficie esterna delle cellule tumorali. Il legame tra queste particolari proteine e gli ormoni stimolano la crescita e la proliferazione delle cellule tumorali. La terapia ormonale si può attuare in sequenza dopo la chemioterapia oppure da sola nei casi in cui rappresenti il trattamento più indicato.
La scelta del trattamento ormonale dipende da una serie di fattori come le caratteristiche della malattia, la presenza di recettori specifici, lo stato menopausale, i trattamenti già ricevuti in caso si attui per la ripresa della malattia. I meccanismi d’azione sono principalmente tre. Gli antiestrogeni impediscono che gli ormoni si leghino alle cellule tumorali; possono essere utilizzati sia prima, sia dopo la menopausa. Gli inibitori delle aromatasi riducono la quantità di estrogeni in circolo nell’organismo bloccando l’azione dell’aromatasi, un enzima che trasforma gli androgeni in estrogeni. Gli inibitori dell’aromatasi sono riservati alle donne già in menopausa. Gli analoghi del GnHR (o del LHRH) inducono la menopausa farmacologica bloccando la sintesi degli estrogeni prodotti dalle ovaie. I farmaci possono essere somministrati per via orale in compresse o con iniezioni intramuscolo o sottocute. Se attuato a scopo adiuvante, la durata del trattamento ormonale è in genere di cinque anni, ma con una sempre maggiore propensione a un prolungamento degli anni di trattamento.
IMMUNOTERAPIA
Un discorso a parte merita l’immunoterapia. A differenza di quanto avviene negli altri trattamenti, i bersagli non sono le cellule tumorali bensì quelle del sistema immunitario. Molto spesso, i tumori inibiscono infatti le difese dell’organismo. I farmaci immunoterapici permettono di impedire questo fenomeno, potenziando o riattivando la capacità del sistema immunitario di riconoscere e attaccare agenti esterni come un tumore. Se per altri tumori, come il melanoma, l’immunoterapia è ormai da un decennio un’opzione concreta, nella cura del tumore al seno la rivoluzione è iniziata solamente nel 2019. La ragione di questo ritardo è che il tumore al seno è meno immunogenico, cioè stimola meno di altri la naturale risposta del sistema immunitario, ed è stato necessario un tempo più lungo per sviluppare strategie efficaci di immunoterapia.
TERAPIE A BERSAGLIO MOLECOLARE
Le terapie a bersaglio molecolare, dette anche terapie biologiche o target therapy, sono terapie mirate, cioè la loro azione è specifica soltanto per il bersaglio molecolare (recettore, fattore di crescita, enzima) contro cui sono dirette. Questi bersagli molecolari, presenti principalmente nelle cellule tumorali, sono responsabili della crescita e della diffusione incontrollata delle cellule, della loro resistenza alle terapie tradizionali come la chemioterapia, e della produzione di nuovi vasi sanguigni. Ciascuna terapia ha uno o più meccanismi di azione specifici. In generale, possono interferire con la capacità delle cellule tumorali di crescere, moltiplicarsi e/o comunicare con le altre cellule; possono ostacolare lo sviluppo di nuovi vasi sanguigni indispensabili a nutrire il tumore; possono promuovere la morte programmata delle cellule tumorali; possono stimolare le difese del sistema immunitario a identificare e distruggere le cellule tumorali.
Gli anticorpi monoclonali (Mab) sono molecole biologiche capaci di riconoscere, legarsi e neutralizzare in maniera specifica un determinato antigene, cioè una molecola in grado di essere riconosciuta dal sistema immunitario come estranea o potenzialmente pericolosa. Nel trattamento dei tumori, i Mab sono concepiti per riconoscere e legarsi a sostanze specifiche presenti sulla superficie delle cellule tumorali. Per esempio, il trastuzumab è stato creato per legarsi a HER2, uno dei recettori per il fattore di crescita epidermico, che stimola la crescita e la proliferazione dei cosiddetti tumori al seno HER2+. Trastuzumab si lega al recettore, attiva alcune cellule del sistema immunitario che distruggono le cellule tumorali e impedisce al recettore di dividersi, riducendo la propagazione del segnale di crescita del tumore. Somministrato per lungo tempo solamente per via endovenosa, dal 2021 trastuzumab può essere iniettato – in associazione con un altro anticorpo monoclonale, pertuzumab – per via sottocutanea. Altri anticorpi monoclonali utilizzati nel trattamento del tumore al seno sono il già citato pertuzumab, il cui bersaglio è sempre il recettore HER2, e bevacizumab, il cui bersaglio è il recettore per il VEGF, cioè il fattore di crescita endoteliale vascolare. In associazione con chemioterapici, bevacizumab può essere utilizzato nel trattamento dei tumori privi del recettore HER2 e in fase avanzata, per contrastare la progressione della malattia.
Ultimi arrivati, gli anticorpi monoclonali farmaco-coniugati (ADC). Rappresentano una vera e propria rivoluzione grazie alla loro azione innovativa e altamente selettiva. Combinano infatti in un mix assolutamente unico, anticorpi monoclonali, un linker stabile e un potente agente citotossico, cioè in grado di danneggiare o distruggere la cellula malata. Si tratta di un meccanismo complesso, che non a caso viene associato al cavallo di Troia, perché è simile a un micro missile in grado di trasportare la chemio all’interno della cellula malata, senza che questa se ne accorga e di indurre un danno letale al DNA tale da causare la morte della cellula tumorale stessa.
Al momento gli ADC in commercio sono due: Trastuzumab–emtansine e Trastuzumab-deruxtecan. Entrambi sono indicati per la forma HER2-positiva con malattia metastatica e hanno l’approvazione AIFA per l’utilizzo nella seconda linea di trattamento-
Gli inibitori selettivi delle chinasi ciclina-dipendenti 4 e 6 (CDK 4/6) sono una classe di farmaci che contribuisce a rallentare la progressione del tumore, bloccando l’azione di due proteine chiamate chinasi ciclina-dipendente 4 e 6, responsabili dell’iperattività delle cellule tumorali. Per raggiungere la massima efficacia, questi farmaci vengono normalmente associati alla terapia ormonale.
Gli inibitori di CDK 4/6 vengono utilizzati nel trattamento del tumore al seno avanzato o metastatico con recettori ormonali (HR+) e privo di recettori HER2. Tra gli inibitori di terza generazione utilizzati nel trattamento del tumore al seno ci sono palbociclib, ribociclib e abemaciclib. Gli effetti collaterali più comuni causati da questi farmaci sono: abbassamento del livello dei globuli bianchi, che può rendere talvolta necessario un rinvio del trattamento; alterazione dei valori della funzionalità del fegato; nausea, diarrea, stomatite; affaticamento, caduta dei capelli.
Un’altra classe di farmaci inibitori utilizzati per il trattamento del tumore al seno è quella dei cosiddetti inibitori delle tirosin chinasi (TKI). Si tratta di piccole molecole, somministrate per via orale, in grado di colpire il colpire il tumore su diversi fronti, arrestando sia la crescita della massa che la vascolarizzazione del tumore stesso. Questa classe di molecole agisce contro i tumori in modo più selettivo rispetto alla chemioterapia tradizionale, in quanto riconosce alcune proteine frequenti nelle cellule tumorali ma poco presenti in quelle sane.
Gli inibitori della poli-ADP-ribosio-polimerasi, o più semplicemente PARP, sono farmaci che sfruttano la mancanza di alcuni meccanismi di riparazione del DNA nelle cellule tumorali per condurle alla morte. Come suggerisce il nome, queste molecole hanno per bersaglio la famiglia di proteine chiamate PARP che blocca un enzima coinvolto nella riparazione del DNA danneggiato. Bloccando questo enzima, diventa meno probabile che il DNA all’interno delle cellule dei tumori al seno con mutazione genetica BRCA venga riparato, portando alla morte delle cellule e a un rallentamento o arresto della crescita della malattia. Tra questi farmaci, olaparib è approvato per il trattamento del tumore al seno triplo negativo in fase avanzata nelle donne che presentano la mutazione genetica BRCA1 o BRCA2. La somministrazione di olaparib è per via orale.