Nel novembre del 2013, con la scadenza del primo brevetto di un anticorpo monoclonale, l’utilizzo dei cosiddetti farmaci biosimilari è divenuto gradualmente un tema sempre più dibattuto, in oncologia e non solo
Qualunque sia il settore, l’aumento della concorrenza si traduce nella riduzione dei prezzi del mercato. Così è anche nel mondo farmaceutico: il brevetto della maggioranza dei farmaci dura 20 anni e, una volta scaduto, altre aziende possono riprodurlo. Se nel caso dei farmaci tradizionali, ottenuti tramite processi di sintesi chimica, il risultato sono i cosiddetti farmaci generici, nel caso di quelli sviluppati attraverso le biotecnologie si parla di biosimilari, cioè farmaci biologici simili, ma non uguali, ai farmaci originari in termini di qualità, efficacia e sicurezza. Il risparmio garantito dai biosimilari può permettere al sistema sanitario di destinare maggiori risorse a supporto di farmaci e terapie innovative.
I farmaci biologici
Una caratteristica fondamentale è la loro immunogenicità, cioè la capacità di indurre una reazione immunitaria nell’organismo: queste molecole vengono riconosciute come estranee dall’organismo della paziente e, quindi, possono essere neutralizzate nel loro effetto. Nella cura dei tumori, i recettori per i fattori di crescita e le vie di trasduzione del segnale intracellulare – passaggi critici nella progressione della malattia poiché modificano l’espressione di geni e proteine coinvolti nella regolazione della crescita, differenziazione e sopravvivenza cellulare – rappresentano i bersagli, particolarmente attraenti e potenzialmente sfruttabili, della maggioranza dei farmaci antitumorali biologici oggi disponibili. Gli anticorpi monoclonali diretti contro il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF), come il bevacizumab, agiscono inibendo il processo di formazione di nuovi vasi sanguigni che alimentano il tumore. Trastuzumab, un anticorpo monoclonale impiegato nella tumore al seno HER2 positivo, interagisce con il recettore 2 del fattore di crescita epiteliale umano (HER2). Nei tumori epiteliali sono invece oggi impiegate altre molecole biologiche che bloccano l’attività dei recettori del fattore di crescita dell’epidermide (EGFR) di tipo 1 e 2 o dell’enzima ciclo-ossigenasi di tipo 2.
Simili ma non uguali
La variabilità delle molecole e la complessità delle tecniche di produzione rendono i farmaci biologici particolarmente difficili da riprodurre. Tale difficoltà cresce in maniera proporzionale alla complessità della molecola originatrice. Infatti, mentre i farmaci tradizionali sono costituiti da piccole molecole, la maggioranza dei farmaci biologici presenta peculiarità legate alla cellula ospite utilizzata, ai plasmidi impiegati per trasferire il gene necessario al fine di indurre l’espressione della proteina voluta, nonché alle condizioni di crescita e fermentazione e alle differenti metodiche di purificazione. Tutti questi materiali e procedure non sono immediatamente trasferibili da un laboratorio a un altro. La caratterizzazione e il controllo di qualità dei principi attivi biologici richiedono non solo esami fisico-chimico-biologici, ma anche indicazioni sul processo di produzione poiché la struttura molecolare dipende dal processo stesso. La stessa molecola ottenuta da aziende diverse può infatti presentare modifiche strutturali significative e dunque differenti caratteristiche di sicurezza ed efficacia.
AIFA considera i biosimilari come prodotti intercambiabili con i corrispondenti originatori di riferimento. Tale considerazione vale tanto per le pazienti naive quanto per le pazienti già in cura. L’eventuale decisione di eseguire la sostituzione del farmaco originario con il suo biosimilare in una paziente già in trattamento deve essere attentamente valutata dal medico, che rimane il responsabile della prescrizione, ed eventualmente avvenire solo dopo un’accurata informazione alla paziente.