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Sicilia, un’indagine su test genetici e tumori eredo-familiari

Palermo – Presentati i risultati regionali dell’indagine civica: “Test genetici: tra prevenzione e diritto alle cure. Focus Test BRCA”, promossa da Cittadinanzattiva. L’indagine ha interessato nove strutture della Sicilia e rilevato aspetti peculiari dell’organizzazione dei servizi e del percorso prima e dopo l’erogazione del test BRCA.

Sotto la lente di ingrandimento anche il recente percorso diagnostico-terapeutico assistenziale (PDTA) sui tumori eredo-familiari della mammella e dell’ovaio con il quale si potrà perseguire un programma di assistenza centrato sul paziente con neoplasia associata a variante dei geni BRCA, intercettare i familiari potenzialmente a rischio genetico e offrire loro strategie di prevenzione, per ridurlo e tenerlo sotto controllo.

L’approfondimento regionale e il report nazionale con le proposte sono disponibili nel sito web di Cittadinanzattiva. Si riportano di seguito i risultati dell’indagine regionale:

I soggetti più frequentemente sottoposti al test BRCA hanno tra i 36 e i 49 anni (78%). Ogni centro esegue mediamente 142 test a scopo diagnostico e 60 per l’indirizzo terapeutico. Ai familiari di persone risultate positive al test diagnostico viene proposto il test nel 78% delle situazioni; lo stesso è esteso anche ai familiari “molto di frequente” in poco meno di un caso su due. A richiederlo è l’oncologo (67%), seguito dal genetista medico (44%)e dal ginecologo con competenze oncologiche (11%). Nelle diverse fasi che potrebbero condurre ad una diagnosi clinica di tumore ereditario, solo il 55% degli intervistati riferisce di agire in un contesto multidisciplinare, inoltre all’interno dell’équipe in due casi su cinque è assente il case manager.

La consulenza genetica oncologica è offerta dal 55% dei centri e, di questi, l’80% garantisce la presa in carico completa della persona fin dalla fase pre-test. C’è da lavorare sugli aspetti collegati all’eventuale risultato positivo del test BRCA ed in particolare su come compiere scelte soddisfacenti in relazione alla qualità della vita (50%), dato registrato nei centri ove non è presente un servizio di CGO.

Presa in carico e gestione del rischio

In un caso su due (55%) non sono attive misure di sorveglianza clinica e strumentale secondo le linee guida regionali, nazionali o internazionali e in multidisciplinarietà ma nei centri ove le misure esistono, il 44% prevede un percorso per la gestione di soggetti con predisposizione genetica alla sindrome dei tumori della mammella e dell’ovaio, pur in assenza di un percorso formalizzato (NO=50%). Il dato è orientato verso un miglioramento grazie al recente PDTA sui Tumori eredo-familiari divenuto l’unica procedura formalizzata da porre in essere all’interno di tutte le strutture regionali. Il 67% dei centri offre strategie per gestire il rischio ma tutti i controlli e le visite più frequenti della sorveglianza attiva sono a carico della persona sana; nel 56% dei casi sono fornite informazione alla persona sui costi per le opzioni preventive. Per le persone sane con un alto rischio genetico, al momento della rilevazione, non risultava l’esenzione per le visite e le prestazioni diagnostiche (es. D99) e uno specifico DRG per chirurgia di riduzione del rischio.

 Laboratori

Il 22% dei centri intervistati possiede un laboratorio interno alla struttura. Il resto dei centri fa riferimento nel 71% dei casi ad un laboratorio del SSN, mentre nel 29% ad un laboratorio privato convenzionato ma si è osservato come tali informazioni alla luce del PDTA, siano superate.

I protocolli utilizzati dal laboratorio descrivono come suddividere gli spazi in modo da evitare contaminazioni tra campioni e indicano i “QC Point” per evitare scambi di campioni solamente nel 57% dei casi. Un’attenzione volta al miglioramento dovrebbe riguardare infine la raccolta sistematica e centralizzata delle varianti BRCA osservate, al fine di contribuire alla miglior classificazione delle stesse (43%) e a ridurre gli errori legati ai limiti delle conoscenze attuali.

Tempi di attesa

Solo l’11% delle persone, alle quali è stato diagnosticato il tumore (mammella o ovaio), accede al test BRCA entro le 24 ore dopo la richiesta. La maggior parte dei centri offre l’accesso al test BRCA in 7 giorni. I tempi di refertazione registrano una differenza pari a +11% tra le due classi di soggetti per quanto riguarda l’attesa “entro un mese” ed uno scostamento di un +22% per l’attesa ad “oltre due mesi”. A questi tempi vanno aggiunti quelli per la consegna del risultato: se il test è positivo, questa avviene da parte del Centro entro qualche giorno in almeno 1 caso su 2 (55%); entro le due settimane ed oltre un mese nell’11% delle situazioni e nel 22% entro un mese.

Consenso informato

L’89% dei centri intervistati utilizza un protocollo di comunicazione e raccolta di consenso scritto prima di sottoporre la persona al test BRCA; il consenso è formulato con più che discreta attenzione nei contenuti. Per l’11%,tuttavia, tale procedura non risulta essere la norma. Tra le voci da migliorare: le informazioni circa i potenziali benefici in termini terapeutici, in caso di un trattamento con un PARP inibitore (57%).

Formazione professionale

Infine, è fondamentale tenere alta l’attenzione sulla formazione professionale considerato che in meno di 1 caso su 3 (29%) sono state affrontate tematiche di genetica oncologica che includono aspetti etici sul test del BRCA e in 1 caso su 2 (50%) tematiche più generali di genetica oncologica.

 

All’iniziativa hanno partecipato associazioni di pazienti (ABRCAdaBRa, ACT0 ONLUS, Europa Donna Italia), Società Scientifiche (AIOM, CIPOMO, SIAPEC, SIGU, SIPO) e un comitato di esperti della materia.