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Europa Donna

Le migrazioni femminili in Italia. Percorsi di affermazione oltre le vulnerabilità

Il 50,9% dell’intera popolazione straniera residente nel nostro Paese (5.030.716) è composto da donne. Questi, i dati del censimento del 2021, riportati nella monografia “Le migrazioni femminili in Italia. Percorsi di affermazione oltre le vulnerabilità” pubblicata a febbraio 2023 e realizzata dall’Istituto di Studi Politici “S. Pio V” e dal Centro Studi e Ricerche IDOS. A questo 50,9% vanno aggiunte tutte le donne che, al momento non sono “ufficializzate”, che sono nel nostro Paese senza documenti e che, ciò nonostante, hanno un ruolo attivo nel mondo lavorativo, pur mantenendosi nell’ombra. Il grande problema è che, nel loro caso, regolari e non, donne e anche uomini non sono consapevoli del fatto che esiste una tutela dal punto di vista della salute, che non riescono a raggiungere per barriere culturali, sociali o linguistiche. Anche l’OMS ha messo a punto un Piano d’azione per la salute dei rifugiati e dei migranti nell’Unione Europea per il periodo 2023-2030, che intende sostenere i Paesi dell’UE, affinché la loro salute sia parte indivisibile della salute della popolazione generale. Ma in Italia qual è la situazione? E cosa si può fare per migliorare la condizione dei migranti? Nel parliamo con Nicla La Verde, Direttore SC Oncologia dell’Ospedale Luigi Sacco – ASST Fatebenefratelli di Milano.

Europa Donna Italia: «Quali sono le principali problematiche?»

Dott.ssa La Verde: «Iniziamo col dire che ci sono persone che spesso vengono da Paesi dove non esiste la cultura della prevenzione, per diverse ragioni economiche (Paesi poveri), politiche (regimi autoritari) o sociali (sistema sanitario non inclusivo). Quando queste persone emigrano in Italia, hanno altre priorità di sopravvivenza e ricerca di lavoro, per cui la cura di sé rimane molto sullo sfondo di una vita già complessa. L’altra problematica riguarda l’accesso al nostro sistema sanitario e questo può essere un problema. Mi riferisco innanzitutto alle questioni burocratiche, dall’ottenimento della tessera sanitaria, alla scelta del medico curante, nonché dell’accesso a un ospedale a o a un esame diagnostico, che molte volte è difficoltoso pure per noi italiani. Aggiungiamo poi che chi lavora regolarmente è ritroso a sottoporsi a controlli medici di prevenzione, in assenza di sintomi, perché dovrebbe chiedere un permesso al datore di lavoro, e anche perché in caso di malattia, è alta la paura di perdere il posto di lavoro. Ai problemi dei regolari si aggiungono poi i problemi degli irregolari. Gli adulti che non sono ancora in regola con il permesso di soggiorno possono richiedere la tessera STP (stranieri temporaneamente presenti) che permette di accedere alle cure urgenti ed essenziali, trapianti compresi, nei Centri pubblici. Ha una durata di sei mesi, può essere rinnovata e non ci sono costi in caso di stranieri privi di risorse economiche. Ma gli irregolari talvolta non ne usufruiscono, perché hanno paura di essere denunciati.»

Europa Donna Italia: «Cosa si può fare per migliorare la situazione?»

Dott.ssa La Verde: «Intanto, bisogna effettuare campagne di prevenzione mirate recandosi nelle comunità, perché è l’unico modo per diffondere la cultura della salute. Questo, ovviamente, con l’aiuto di persone già inserite nel contesto italiano, che facciano parte di quella realtà specifica. Faccio l’esempio della comunità cinese, la più corposa numericamente sul territorio nazionale. Molte volte, sono donne e uomini che vivono in Italia da anni, ma non parlano la nostra lingua, perché lavorano con i loro connazionali, in ambiti che non sono a contatto con gli italiani o altri gruppi linguistici. Bene, nel loro caso è necessario avere donne e uomini di origine cinese che li guidino nei meandri della sanità italiana, che insegnino loro le regole della prevenzione, l’importanza degli screening. E lo stesso vale per le altre comunità. Certo, le difficoltà sono molte e diverse a seconda della popolazione. Un grande ostacolo per esempio è il fatalismo, perché per alcune religioni, il futuro è già determinato. E questo rappresenta un problema che limita l’adesione alle cure e ai controlli preventivi. Ricordiamoci poi che in alcuni casi le donne hanno il divieto di interfacciarsi con personale sanitario di sesso maschile. Nel loro caso, il colloquio non è mai diretto tra medico e paziente, c’è sempre una persona della famiglia presente e spesso fa anche da traduttore, con tutto ciò che porta con sé questo tipo di filtro.»

Europa Donna Italia: «Qual è il ruolo dei mediatori culturali?»

Dott.ssa La Verde: «In ospedale sono fondamentali.  Il mediatore è della stessa nazionalità della paziente, ne conosce usi e costumi e questo può permetterci di cambiarne il destino. Per fare un esempio, una donna cinese non pone domande se non capisce perché sarebbe una mancanza di rispetto nei confronti dell’interlocutore. Ma grazie al mediatore culturale, si riescono a cogliere quelle sfumature che ci permettono di fornire più spiegazioni, di spiegarle con maggiore accuratezza la diagnosi e quindi la cura da seguire, riuscendo in qualche modo a creare un rapporto di fiducia tra medico e paziente. È dunque una figura importante, ma è una professione che va potenziata. Alle Giornate dell’Etica di AIOM, l’associazione che riunisce gli oncologi, è emerso che solo il 40% degli oncologi, in occasione della prima visita di un paziente con barriera linguistica, ha la possibilità di avere un mediatore culturale: il 27% in presenza e il 13% al telefono.»

Europa Donna Italia: «Cosa possono fare invece le associazioni pazienti, gli oncologi?»

Dott.ssa La Verde: «Partiamo dal presupposto che l’immigrante, secondo me, in un Paese civile come il nostro, deve essere inserito nel nostro sistema ben funzionante, mettendo a fuoco tutte le difficoltà che abbiamo elencato prima e in primo luogo quelle culturali e linguistiche. Detto questo, le associazioni pazienti hanno un ruolo importante e possono interagire in particolare con le donne, che sono sempre e in assoluto le più disponibili, anche attraverso opuscoli nella loro lingua, con poche parole e molte immagini. Teniamo presente, infatti, che molte sono analfabete. Per quanto riguarda invece noi medici, AIOM per esempio ha elaborato un documento, uno statement, con proposte operative da proporre alle Istituzioni. Il Piano Oncologico Nazionale 2023-2027 riconosce infatti al migrante lo status di fragile e identifica, tra gli obiettivi strategici, l’aumento della copertura vaccinale e l’adesione consapevole alle campagne di screening. Appare quindi fondamentale avere un Piano della Prevenzione che tenga anche in considerazione le diversità dei migranti.»