Le differenze tra uomo e donna nella risposta alle cure
Sulle differenze tra uomo e donna in medicina negli ultimi tempi si sta scrivendo e discutendo sempre di più. L’idea, sostenuta dai dati scientifici, che le peculiarità biologiche maschili e femminili influenzino l’insorgenza e il decorso delle malattie, nonché la risposta alle cure, è alla base della medicina di genere, a cui abbiamo dedicato un approfondimento.
In oncologia un approccio differenziato per genere è ancora più necessario, non solo in un’ottica di efficacia delle cure. Come sottolineato da diversi studi, infatti, l’esclusione del sesso dai parametri utilizzati per definire dosaggi e modalità di somministrazione dei farmaci si traduce in una gran quantità di effetti collaterali in più per le donne.
Ciò accade per diversi motivi. Rispetto agli uomini le donne presentano risposte immunitarie più forti, hanno massa grassa maggiore e distribuita diversamente ed equilibri ormonali differenti; tutti fattori, questi, capaci di interagire con l’esito delle terapie.
Gli effetti della chemioterapia sulle donne
Gli effetti della chemioterapia sono uno degli esempi più concreti nelle differenze tra uomo e donna in oncologia. È ormai risaputo che le pazienti di sesso femminile accusano maggiori tossicità derivanti dalla terapia, presumibilmente anche a causa dei metodi utilizzati per stabilire i dosaggi. Come evidenziato in un documento a cura dell’ESMO (European Society of Medical Oncology), i limiti in questo approccio dipendono dall’utilizzo del BSA (Body Surface Area) come “unità di misura”. Il BSA, tuttavia, tiene conto della superfice corporea ma non di tantissimi altri parametri che incidono sulla risposta ai farmaci: composizione corporea individuale, meccanismi ormonali, microbiota intestinale, attività immunitaria.
Anche per questo, nel tempo sono state elaborate delle alternative alla misurazione tramite BSA, come i dosaggi basati su genotipo, su tossicità etc, ad oggi tuttavia poco utilizzati.
Se gli effetti della chemioterapia sulle donne sono cosa nota da tempo, non può dirsi lo stesso delle conseguenze di altro tipo di terapie, sicuramente meno studiate.
Target therapy e immunoterapia:
focus sulla donna
Target therapy e immunoterapia, rispetto alla chemioterapia, sono tipologie di trattamento le cui reazioni indesiderate nella popolazione femminile sono state ignorate fino a poco tempo fa.
A cambiare la situazione è giunto uno studio apparso l’anno scorso sul Journal of Clinical Oncology, che ha analizzato gli effetti avversi derivanti dai trattamenti oncologici in questione prendendo in esame oltre 200 studi clinici di fase II e III condotti tra il 1980 e il 2019.
A fronte di una percentuale molto elevata di pazienti colpiti da manifestazioni collaterali dopo le terapie (il 64,6%), il rischio è risultato comunque più alto del 34% per le donne rispetto agli uomini. La popolazione coinvolta nello studio, inoltre, era suddivisa in pazienti trattati con chemioterapia, target therapy e immunoterapia: proprio quest’ultima è risultata particolarmente tossica, tanto da essere associata ad un aumento del rischio di effetti collaterali del 49%.
L’aderenza alla terapia può risentirne?
L’aderenza alla terapia, cioè la propensione del paziente a seguire quanto prescritto dallo specialista con continuità, è uno dei tanti aspetti critici che si legano a quanto visto fino ad ora. Più effetti collaterali, infatti, non implicano solo una qualità di vita inferiore, ma anche una tendenza maggiore ad abbandonare le cure prima del previsto.
È quanto osservato, ad esempio, in una revisione sistematica sulla terapia ormonale adiuvante, la cui durata ideale corrisponde a 5 anni. Oltre a rimarcare l’abbandono precoce della terapia da parte del 34% delle pazienti interessate, la ricerca ha messo in rilievo come gli effetti collaterali più pesanti, in grado di modificare significativamente lo stile di vita della donna, siano stati tra le cause della mancata aderenza alla terapia.
È chiaro che non tutte le conseguenze indesiderate delle cure oncologiche possano essere debellate con facilità. Una maggiore attenzione alle differenze tra uomo e donna, però, potrebbe condurre un giorno a definire percorsi terapeutici davvero a misura di paziente, maschio o femmina che sia.