Tumore al seno metastatico, novità all’orizzonte
Ecco alcune novità riguardanti il tumore al seno metastatico. Da uno studio italiano pubblicato sulla rivista scientifica Nature Materials è emerso che alla base dell’invasività metastatica del carcinoma intraduttale mammario c’è il trasformismo materico delle cellule tumorali, che sono in grado di passare dallo stato solido a quello liquido, agevolandone il moto nell’organismo. La medesima transizione tuttavia, sottolineano gli scienziati, potrebbe rendere tali cellule al tempo stesso più sensibili all’immunoterapia. Potrebbe veramente trasformarsi in una possibilità terapeutica?
Il commento di Emanuela Frittoli
Emanuela Frittoli – ricercatrice IFOM Foundation, Institute FIRC of Molecular Oncology e prima Firma dello studio – afferma: “Con il nostro lavoro, pubblicato sulla rivista scientifica Nature Materials, abbiamo esteso e validato studi precedenti che dimostrano come i tumori, oltre a possedere una straordinaria diversità biologica, presentano anche distinte proprietà fisiche.
Le cellule tumorali, infatti, possono assumere forme, strutture e proprietà simili ai materiali come l’essere soffici e malleabili oppure duri e rigidi, immobili oppure dinamici. Questa capacità di cambiare la natura fisica è quella che permette ai tumori di origine epiteliale, come il cancro al seno, di sfruttare la naturale tendenza ad essere parte di un gruppo e di spostarsi in modo simile agli stormi degli uccelli. Nel nostro studio, in particolare, ci siamo concentrati sui tumori al seno intraduttali, ovvero tumori che crescono all’interno del dotto mammario. Queste lesioni si sviluppano e crescono negli spazi ristretti del dotto mammario e vanno frequentemente incontro ad una vera propria transizione di fase: crescendo nello spazio ristretto si impaccano, diventano rigidi e formano masse immobili e indolenti. Condizione, questa, che ne ostacola la progressione e diffusione. Ai bordi di alcuni di questi tumori, però, abbiamo osservato un accumulo di una proteina che non dovrebbe esserci: RAB5A.
Negli esperimenti in vitro, che mimano questo tumore, l’aumento di RAB5A è sufficiente a cambiarne la struttura, da massa solida ed inerte ad una fluida/liquida che ne facilita la fuga nei tessuti circostanti”.
I DATI
Per confermare la validità di queste osservazioni fatte in laboratorio sarà necessario un accurato studio clinico. Ma, se i nostri dati fossero confermati, il 70% delle pazienti che non presentano RAB5A ai margini del tumore, potrebbero essere sottoposte ad un piano terapeutico ridotto.
Il restante 30% dei tumori potrebbe, invece, essere particolarmente sensibile all’immuno-terapia. Infatti, nel passare dallo stato solido a quello liquido, queste lesioni diventano potenzialmente più aggressive, ma anche più vulnerabili. Quindi ci stiamo concentrando per capire se possiamo migliorare la diagnosi del tumore al seno e incanalare le pazienti in un percorso sempre più personalizzato e meno invasivo.
Quindi se da un lato ci stiamo avviando verso una diagnosi precoce, sempre più precisa e puntuale, dall’altro potremmo sfruttare le nostre conoscenze per una cura più efficace.
L’immuno-terapia, infatti, potrebbe essere utilizzata sfruttando la fragilità di questi tumori intraduttali che, in possesso della proteina RAB5A accumulata e a causa del loro “imballaggio”, diventano più mobili. Questi, risultano anche più fragili rispetto al nostro sistema immunitario. Inoltre, i nuclei cellulari di questi tumori tendono a rompersi e a rilasciare DNA nel citoplasma. Potremmo quindi sfruttare il nostro sistema immunitario come arma, indirizzandolo verso le cellule tumorali.