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terapie più mirate grazie alle ricerche in corso sulla biopsia liquida

L’obiettivo della ricerca è di incrementare sempre di più la percentuale di donne che guariscono dal tumore del seno e, nei casi più impegnativi, di far sì che sia possibile renderlo una malattia cronica. E la dimostrazione del grande impegno da parte dei ricercatori l’abbiamo avuta nel corso dell’ultimo congresso ASCO, con gli studi scientifici relativi ai nuovi farmaci. Ma non solo. Sono state presentate anche ricerche che hanno come oggetto l’analisi dei biomarcatori che hanno come obiettivo quello di rendere sempre più mirati i trattamenti, come ci ha raccontato Grazia Arpino, ricercatrice e Professoressa di Oncologia Medica all’Università Federico II di Napoli.

Oggi si parla sempre di più di biopsia liquida anche per il tumore del seno: cos’è emerso da Asco?

Sono emersi dati estremamente interessanti che riguardano l’utilizzo di biomarcatori quali DNA circolante per individuare precocemente l’insorgenza di eventuali resistenze alle terapie in atto. I dati presentati all’ASCO si riferiscono prevalentemente a casistiche di pazienti con malattia metastatica dove la variazione nel tempo dei biomarcatori può essere predittiva di risposta o meno al trattamento.  Questo approccio però in futuro potrebbe essere utile anche nel setting della malattia adiuvante dove la valutazione di questo ed altri biomarcatori dopo l’intervento chirurgico potrebbe permettere la quantificazione del rischio di malattia residua ed eventualmente determinare la predisposizione di un piano terapeutico ad hoc per la prevenzione delle metastasi.

La chiamano biopsia ma non ha nulla a che vedere con questo esame: lo chiariamo una volta di più?

Per l’analisi del DNA circolante  è sufficiente un prelievo di sangue, con i vantaggi che porta con sé questo tipo di procedura: nessuna invasività per la donna e quindi, la possibilità di ripeterlo più volte nell’arco del percorso terapeutico della paziente. Anche per questo i dati sono importanti: fanno intravvedere la possibilità di monitorare la malattia tumorale, anche con controlli ravvicinati nel tempo senza necessariamente praticare esami radiologici continui.

A quando la disponibilità per tutte le pazienti?

Anche nel corso delle sessioni dedicate nell’ambito di ASCO  è emerso in maniera lampante che si tratta di studi che necessitano di un’ulteriore conferma e validazione clinica in popolazioni di pazienti più vaste. Ma i tempi sono maturi, in quanto più studi mostrano l’efficacia di questo approccio. Ricordiamoci che, per esempio, la valutazione del DNA circolante, già in uso nel tumore del polmone e più recentemente del colon,  viene utilizzata nella pratica clinica quotidiana per scegliere la terapia target più specifica.  

Nel futuro sarà anche un test di controllo per le donne sane?

Forse, difficile prevederlo oggi perché il test non è ancora stato confermato in questo senso. Probabilmente,  quando ci sono poche cellule tumorali, il DNA circolante è scarso e sfugge alle metodiche di determinazione disponibili oggi.  Ma non è detto che nel futuro possa diventare una metodologia diagnostica da impiegare per le donne sane, con una predisposizione alla malattia. Dobbiamo aspettare l’arrivo di test e apparecchiature più sensibili.

Ad ASCO ha presentato una ricerca che riguarda la possibilità di individuare le pazienti da candidare a una terapia: ce lo racconta?

Abbiamo presentato i dati preliminari di uno studio ongoing, cioè ancora in corso, che coinvolge una cinquantina di Centri italiani. La peculiarità di questo lavoro è di sottoporre le pazienti a controlli estremamente ravvicinati nel tempo per verificare la reazione  alla terapia. Quando dico ravvicinati, intendo a distanza di quindici giorni dall’inizio della terapia col primo check, e a seguire, dopo 21 giorni, a un mese di distanza e via così.

Il test è anche in questo caso una biopsia liquida?

Sì, ed è la prima volta che viene utilizzato per controlli così serrati. Ci siamo focalizzati sul tumore al seno ormono-sensibile ed HER2 negativo e la terapia è quella standard di prima linea, cioè l’associazione di ribociclib e letrozolo. E per la prima volta, non abbiamo valutato solo la presenza di DNA circolante ma anche di timidina chinasi 1, un altro marcatore.  Sappiamo che la terapia in alcuni casi è in grado di ridurre la concentrazione di questi due biomarcatori nel sangue, e di risolvere così un eventuale problema di resistenza e quindi di recidiva precoce. Ma per saperlo, dobbiamo effettuare un’analisi dinamica della variazione dei biomarcatori,  serrata soprattutto nelle prime settimane.

Qual è il beneficio per la paziente?

Al momento sono solo supposizioni, ma questo ci permetterà probabilmente di identificare le donne con un rischio maggiore di recidiva precoce e di correggere pressoché subito la terapia, se necessario. Fra l’altro, è probabile che questo schema si possa estendere anche ad altri tipi di tumore al seno e impiegare non solo per le forme avanzate, ma anche in altre situazioni, al fine di rendere sempre più specifiche le terapie.