Novità da asco 2022
All’ASCO, il congresso mondiale di oncologia, quest’anno è stato come emergere da due anni di apnea. Con la presentazione di lavori scientifici che hanno fornito risultati importanti: uno studio in particolare, per la prima volta cambia la pratica clinica del trattamento del tumore al seno.
Di questo e di altre novità, ne parliamo con Lucia Del Mastro, direttore della Clinica di Oncologia Medica e Responsabile della Breast Unit dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova.
Erano anni che non si assisteva a una standing ovation all’ASCO. Quale studio ha sollevato questi entusiasmi?
Sono stati i risultati dello studio DESTINY-Breast04. che ha valutato l’efficacia di un anticorpo coniugato, trastuzumab deruxtecan, che per la prima volta ha dimostrato di essere efficace per le pazienti con tumore del seno metastatico HER2 low. Si tratta di quella forma che può avere o meno i recettori ormonali, ma che si caratterizza per la presenza in quantità bassa del recettore HER2. E non stiamo parlando di numeri piccoli, anzi: le pazienti HER2 low costituiscono circa il 50% di tutti i casi di tumore del seno metastatico. Fino ad oggi in questi casi il trattamento che veniva effettuato era quello impiegato per i recettori positivi, oppure per i tumori triplo negativi, in quanto i farmaci anti-HER2 erano riservati solo alle pazienti con tumore con elevata espressione di questo recettore. Quello che ha dimostrato per la prima volta lo studio DESTINY-Breast 04 è che un farmaco molto potente, fino ad oggi riservato solo alle pazienti con tumore HER2 positivo, funziona molto bene anche nelle pazienti che hanno una bassa espressione di HER2, cioè le pazienti che fino ad oggi non potevano beneficiare dei trattamenti anti HER2. Ora, ed ecco perché ci siamo alzati in piedi applaudendo, trastuzumab deruxtecan si è rivelato essere un anticorpo monoclonale coniugato molto potente, che per essere efficace non ha necessità di avere tanti recettori HER2 sulla cellula oncogena, gliene bastano pochi. E questa sua azione sicuramente cambierà la nostra pratica clinica.
Funziona anche nelle pazienti con diagnosi iniziale?
Lo stiamo già sperimentando, ma al momento gli studi nelle pazienti con tumore in fase iniziale sono focalizzati nei casi con tumore HER2 positivo, cioè con una grande quantità di recettore HER2. Però stiamo valutando la possibilità di proporre degli studi che coinvolgano le donne con tumore del seno HER2 low nella fase precoce. Lo progettiamo nel setting neoadiuvante, cioè utilizzando trastuzumab deruxtecan prima dell’intervento chirurgico in tumori operabili, in modo da capire se il tumore è sensibile al trattamento.
Altre novità?
È stato presentato uno studio che ha previsto l’utilizzo di un altro anticorpo coniugato, sacituzumab-govitecam, che sta per entrare nella pratica clinica per il trattamento del tumore triplo negativo metastatico. In questo caso è stato usato in pazienti con recettori ormonali positivi, non triplo negativi, e si è dimostrato efficace. Costituirà verosimilmente una nuova arma a disposizione per le pazienti con recettori ormonali positivi e che non esprimono HER 2. Insomma, un ASCO all’insegna di farmaci che rivoluzionano completamente il nostro modo di trattare i tumori.
Sono state molte anche le ricerche sui biomarcatori: quanto sono importanti nella diagnosi e nel percorso di cura?
Abbiamo visto presentazioni di lavori scientifici con dati importanti, che aprono alla possibilità di trovare dei biomarcatori che possono essere utilizzati per la diagnosi precoce. La ricerca sta investendo molto sulla possibilità di trovare il DNA tumorale circolante attraverso un prelievo di sangue, per una diagnosi precoce del tumore. Non c’è ancora nulla di implementato nella pratica, ma sicuramente è una via in fase di attiva valutazione perché potrebbe consentire di avere una nuova modalità di screening.
Altri studi invece si sono focalizzati sull’utilizzo del DNA circolante per identificare la cosiddetta malattia residua nelle pazienti che sono state operate e che magari hanno anche effettuato la terapia post-operatoria. Potrebbe quindi essere un test importante per individuare precocemente le donne che devono essere indirizzate a ulteriori trattamenti perché hanno un maggiore rischio di ricadute.
Infine, la ricerca punta all’identificazione di biomarcatori, tra i lavori, anche quello a firma interamente di ricercatori italiani, al fine di identificare le pazienti sensibili a determinati trattamenti, da quelle che invece non ne trarrebbero ulteriori benefici.
Questo ci porta a parlare di ricerca: da noi, solo il 7% dei pazienti aderisce a uno studio clinico. Come mai abbiamo una percentuale così bassa?
Vediamo il bicchiere mezzo pieno: questo è un dato che è già migliorato. Rispetto a quando ho intrapreso la mia carriera di oncologa, l’atteggiamento delle donne è cambiato. Mentre nel passato rispondevano che non volevano fare le cavie, oggi sono le donne stesse che ci chiedono se ci sono sperimentazioni in corso. E sanno che questo vuol anche dire, in molti casi, avere accesso a terapie più efficaci prima ancora che entrino nella pratica clinica. È più chiaro il ruolo delle sperimentazioni cliniche per le pazienti ma non ancora abbastanza e quindi bisogna informare, perché l’informazione è quella che rende possibile comprendere gli obiettivi degli studi clinici e far sì che le donne accettino di aderire, per sé stesse e anche per le altre donne.