Terapie oncologiche e qualità di vita: come misurarli
PROs, PRO-CTCAE, PROFFIT. Acronimi ostici ai più, ma che stanno entrando nell’attività dei ricercatori e degli oncologi, e che stanno diventando una bussola per avere indicazioni sul reale impatto delle terapie sulla qualità di vita del paziente. Ma anche, per individuare le problematiche di origine economica che impediscono al paziente di curarsi bene. Per saperne di più, ne parliamo con Francesco Perrone, Presidente AIOM, l’associazione che riunisce gli oncologi medici, e con Massimo Di Maio, Presidente eletto AIOM.
Professor Perrone, cosa sono i PROs?
«È la sigla di patient-reported outcomes e sono gli esiti di salute valutati direttamente dal paziente e basati sulla sua percezione della malattia e del trattamento. Per farlo, oggi abbiamo a disposizione strumenti digitali, come le app, che consentono la misurazione in tempo reale dei parametri relativi alla qualità di vita, ma purtroppo sono ancora poco utilizzati nella pratica quotidiana. Questo, nonostante possano determinare importanti vantaggi anche in termini di aderenza al trattamento e riduzione degli accessi ai Pronto Soccorso. Qualcosa però sta cambiando. Ad esempio, ESMO, la Società Europea di Oncologia Medica, ha stilato le linee guida sui PROs, sottolineandone l’importanza. È un documento importante, anche perché rappresenta un invito agli oncologi internazionali e non solo italiani, ad adottarli».
Professor Di Maio, lei ha coordinato le linee guida ESMO sui PROs. Quali sono i vantaggi che ne derivano ad applicarli?
«Rispondo con i dati emersi da uno studio italiano presentato all’ultimo ASCO, il congresso mondiale di oncologia. Analizzando i dati di 592 sperimentazioni di fase 3 pubblicati su riviste scientifiche tra il 2012 e il 2021, si è visto che solo nel 40% dei casi in cui è stato evidenziato un vantaggio con la terapia sperimentale in termini di sopravvivenza libera da progressione, cioè di controllo strumentale della malattia evidenziato con la TAC, c’è stata anche la dimostrazione di un miglioramento della qualità di vita. In quasi il 60% infatti questa prova manca, perché non sono emerse differenze rispetto al trattamento standard oppure il dato sulla qualità di vita non è disponibile non essendo stato analizzato o pubblicato. Lo studio rispecchia una realtà che emerge anche nella quotidianità nei reparti ospedalieri. Ad oggi pochi ospedali adottano misure di monitoraggio sistematico dei sintomi da parte dei pazienti, sia nella forma tradizionale cartacea che in quella elettronica da remoto. Invece è importante investire nel monitoraggio dei PROs, che non si traduce in un aumento dei carichi di lavoro, ma migliora la gestione dei pazienti. Per l’implementazione efficace nella pratica clinica è necessario un importante sforzo organizzativo. Servono formazione di pazienti, caregiver e operatori, precisa divisione dei compiti, integrazione tra le diverse figure professionali, adeguate risorse in termini di personale e tempo dedicato per leggere e analizzare i dati riferiti dai pazienti attraverso gli strumenti digitali».
Professor Perrone, che importanza hanno invece i PRO-CTCAE?
«Molta. Sono l’acronimo di Patient Reported Outcomes – Common Terminology Criteria for Adverse Event. Per metterli a punto, sono stati considerati circa 80 effetti collaterali caratterizzati da una forte componente soggettiva, analizzandone la frequenza, la severità e il grado di interferenza con la vita direttamente da parte dei pazienti. Il risultato di questo lavoro è un questionario, disponibile anche in versione italiana, che consente al paziente di segnalare in autonomia e in maniera dettagliata gli effetti collaterali delle terapie anti-tumorali, superando, di fatto, la tendenza alla sottostima da parte dei medici delle tossicità con maggiore componente soggettiva. I PRO-CTCAE stanno entrando nell’uso in sperimentazione clinica, ma sono ancora poco utilizzati nella pratica clinica».
Ultima sigla, ma non meno importante: PROFFIT. In cosa consiste?
«È un questionario messo a punto in Italia, per la valutazione della tossicità finanziaria, cioè delle difficoltà economiche dei pazienti colpiti dal cancro. È il primo nel suo genere a essere stato sviluppato in un servizio sanitario pubblico e universalistico. È composto da 16 affermazioni su cui i pazienti sono chiamati a esprimere o meno il loro assenso: 9 riguardano le cause delle difficoltà economiche e 7 ne misurano le conseguenze. PROFFIT è stato anche validato in lingua inglese e ci auguriamo che possa essere adottato in altri Paesi dotati di servizi sanitari pubblici o prevalentemente pubblici. Ora anche ESMO ha redatto un documento che raccoglie 25 diverse ‘dichiarazioni’ per rispondere a 13 domande sulla tossicità finanziaria in ambito oncologico. L’obiettivo è sensibilizzare i clinici, perché vengano adottati strumenti idonei per misurarla, analizzarne le cause e, se possibile, proporre soluzioni concrete».
Che impatto ha la tossicità finanziaria sulla salute del paziente oncologico?
«I problemi di natura economica determinano una riduzione della sopravvivenza, con un rischio di morte più alto del 20%, anche in un servizio sanitario universalistico come il nostro. In Italia, ogni paziente oncologico è costretto a spendere oltre 1.800 euro all’anno di tasca propria per spese che vanno dal costo dei mezzi di trasporto e di farmaci supplementari o integratori, alle visite specialistiche successive alla diagnosi. Si tratta di condizioni che possono causare problemi economici, soprattutto nelle fasce più deboli della popolazione. La tossicità finanziaria dovrebbe essere inclusa tra gli indicatori monitorati nel Programma Nazionale Esiti, perché è conseguenza della qualità ed efficienza della presa in carico da parte del servizio sanitario nazionale».