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Screening mammografico: cambiano le raccomandazioni USA

Lo screening mammografico va eseguito solo e sempre a partire dai 50 anni?
Questo dubbio accompagna il dibattito in senologia da molto tempo, complice anche il fatto che la gestione regionale non sia compatta in merito.

Come ormai risaputo, sebbene le indicazioni del Ministero della Salute prevedano lo screening gratuito tra i 50 e i 69 anni, all’atto pratico ogni Regione gestisce le modalità di erogazione di questo esame in maniera autonoma, anche per quanto riguarda le fasce d’età coinvolte. In alcune zone d’Italia, ad esempio, è in via di sperimentazione lo screening mammografico per tutte le donne tra i 45 e i 74 anni.

Anche sulla frequenza dei controlli manca uniformità: in alcuni casi, è raccomandato con cadenza biennale, in altri annuale.

Grandi novità in tal senso potrebbero arrivare da oltreoceano. La US Preventive Services Task Force, un panel di esperti che lavorano in modo volontario e indipendente per formulare raccomandazioni sull’efficacia di servizi e pratiche in sanità, ha da poco reso pubbliche delle nuove linee guida sullo screening mammografico.

Mammografia: quando e ogni quanto farla

La mammografia eseguita in fasce d’età meno ristrette porterebbe più benefici che danni. Questa, in estrema sintesi, la conclusione a cui è giunta la US Preventive Services Task Force, che a fine aprile 2024 ha pubblicato le sue raccomandazioni aggiornate su Jama Network. I dati raccolti dal gruppo di lavoro dimostrano che uno screening mammografico biennale che includa le donne tra i 40 e i 74 anni potrebbe portare a 1,3 decessi per cancro al seno in meno su 1000 rispetto allo standard attuale.

Le raccomandazioni, inoltre, specificano che:

  • Le prove scientifiche disponibili non sono sufficienti per determinare il rapporto rischio/beneficio nell’eseguire la mammografia nelle donne dai 75 anni in su;
  • Sottoporsi allo screening ogni due anni, rispetto alla possibilità di farlo ogni anno, è il compromesso migliore. Ciò implica che l’intervallo tra un controllo e l’altro non andrebbe rimodulato a una volta all’anno, ma ripetuto con frequenza biennale.

Nel valutare tutto ciò, la US Preventive Services Task Force ha preso atto tanto dei benefici dello screening, quantificabili in termini di diagnosi precoci, anni di vita guadagnati e decessi evitati, che dei rischi, che riguardano la possibilità di diagnosi errate (i cosiddetti falsi positivi) o di sovradiagnosi, che si verifica quando viene individuato un tumore che non sarebbe successivamente diventato una minaccia reale per la salute della donna.

Resta da capire se e come le conclusioni a cui arriva la task force statunitense si tradurranno in realtà concreta.