Il cuore, un organo da difendere durante le terapie oncologiche
Cuore e malattia oncologica, un legame ancora molte volte trascurato. Eppure, i dati parlano chiaro. Dopo la diagnosi, chi ha un tumore presenta un aumento del 42% del rischio cardiovascolare e in caso di evento cardiovascolare, si riduce del 20% la percentuale di sopravvivenza a 8 anni, rispetto al resto della popolazione. Sono numeri importanti, che non si possono più ignorare e che rendono necessaria la figura del cardiologo nel team multidisciplinare allargato. Non solo, è il momento di istituire una rete cardio-oncologica che garantisca un alto standard di cura anche ai pazienti residenti in località che non hanno team cardio-oncologici dedicati o PDTA specifici e consolidati. Per saperne di più su questa tematica, ne abbiamo parlato con Antonio Russo, Presidente COMU (Collegio Oncologi Medici Universitari) e Professore Ordinario di Oncologia Medica, DICHIRONS – Università degli Studi di Palermo, tra gli Autori del libro “Cardio-Oncology. Management of toxicities in the era of immunotherapy”, Edizioni Springer, e con Francesco Prati, Presidente della Fondazione Centro per la Lotta contro l’Infarto e Direttore del Dipartimento Cardiovascolare dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma.
Professor Russo, la cardiotossicità cambia a seconda delle terapie oncologiche?
Dipende in larga parte da fattori legati al tipo di trattamento, alla dose di farmaco utilizzato. Le categorie di farmaci come gli immunoterapici, ad esempio, sono molecole che portano, oltre ad un bagaglio importante di effetti benefici, anche un potenziale spettro di eventi avversi in grado potenzialmente di causare anomalie a tutti gli organi e apparati, compreso quello cardiovascolare. L’incidenza maggiore può arrivare fino al 5%. Si rende perciò necessario istituire corsi di formazione sulla cardio-oncologia nel percorso formativo dei medici, offrendo un training avanzato per coloro i quali hanno già ricevuto una formale istruzione nel campo delle malattie cardiovascolari, dell’oncologia medica o dell’ematologia.
Professor Prati, cambia l’approccio nel caso di pazienti oncologici?
La malattia tumorale e le terapie possono mettere a dura prova l’apparato cardiovascolare della persona. Non scordiamoci che la presenza di malattie cardiovascolari può essere preesistente alla diagnosi di cancro. Il monitoraggio è quindi necessario, per cogliere tempestivamente i segnali di un problema al cuore oppure a carico della circolazione sanguigna e intervenire al più presto. Sono pazienti, inoltre, che vanno seguiti con controlli ad hoc anche in seguito, dopo le cure anti-tumorali, dal momento che i disturbi al cuore possono presentarsi persino a distanza di tempo. Questo, permette di limitare la probabilità di eventi avversi cardiovascolari e di gestirli adeguatamente in caso si manifestino.
Chiediamo a entrambi, cos’altro si può fare per aiutare il paziente oncologico a contrastare il rischio di cardiotossicità?
Di sicuro, alla diagnosi di cancro è necessario far seguire una valutazione approfondita dei fattori di rischio in modo da mettere in atto un’adeguata strategia preventiva. Vanno monitorati il peso, i valori della pressione arteriosa, del colesterolo e della glicemia, e intervenire se necessario con le terapie più indicate. Inoltre, è importante incentivare la persona a seguire uno schema alimentare equilibrato e un programma di attività fisica compatibile con lo stato di salute.