L’osteoporosi dopo il cancro al seno
L’osteoporosi è una patologia ossea molto familiare per le donne in menopausa. Secondo i dati resi noti dal Ministero della Salute, infatti, l’80% delle persone affette da osteoporosi in Italia è composto proprio da donne che hanno superato la fase di fertilità.
La correlazione tra questa malattia e la menopausa si spiega con il cambio ormonale che avviene dopo una certa età, quando il livello di estrogeni cala e, con esso, la capacità dell’organismo di rimpinguare la massa ossea esistente.
La conseguenza è una densità ossea minore, che a sua volta causa fragilità e rischio aumentato di fratture, mal di schiena, dolori articolari, modifiche nella postura e persino perdita di centimetri di altezza.
Nei tumori al seno ormonosensibili (ER+ o PG+), che rappresentano la tipologia di carcinoma mammario più diffusa (70% dei casi), la via terapeutica preferenziale è il trattamento ormonale, che blocca l’attività degli estrogeni o del progesterone, impedendo che interagiscano con la massa tumorale.
Esistono diverse terapie ormonali. Alcune, come gli inibitori dell’aromatasi, sono più indicate per le donne in menopausa. Altre, come gli analoghi GnRH o del LHRH, provocano una menopausa indotta che, tra i suoi effetti collaterali, può avere per l’appunto l’osteoporosi.
Anche la modalità di somministrazione incide sul problema: la terapia ormonale non è utilizzata solo in corso di malattia, ma anche in seguito, come trattamento adiuvante, per ridurre il rischio di recidive dopo l’intervento terapeutico principale (chirurgia, chemioterapia o altro).
I bisfosfonati e le altre terapie
I bisfosfonati e il denosumab sono due dei farmaci indicati per il trattamento dell’osteoporosi nei pazienti oncologici che stanno seguendo una terapia ormonale adiuvante. Queste molecole hanno infatti la capacità di aumentare la densità minerale ossea minacciata dallo squilibrio ormonale. L’intervento farmacologico, tuttavia, non è l’unico raccomandato. Diverse sono le pratiche consigliate ai pazienti con osteoporosi: smettere di fumare, ridurre considerevolmente il consumo di alcol, svolgere attività fisica, adeguare l’alimentazione assumendo fonti di calcio e monitorare i livelli di vitamina D.
Altrettanto importante è la prevenzione. AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e SIOMMMS (Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro) hanno elaborato delle linee guida che prevedono che la terapia per contrastare l’osteoporosi vada messa in atto già all’inizio del trattamento ormonale adiuvante, tenendo in considerazione anche fattori di rischio specifici come la rapidità con cui il paziente perde massa ossea.
Secondo le stesse linee guida, il trattamento in questione dovrebbe proseguire per tutta la durata della terapia adiuvante.
La terapia adiuvante: personalizzarla si può
La terapia adiuvante per le donne con tumore al seno ormonosensibile viene di solito raccomandata per 5 anni dopo l’intervento terapeutico principale, ma può essere somministrata anche per un periodo di tempo maggiore, in base alle esigenze. L’assenza di uno standard relativo alle tempistiche è un ostacolo per la gestione degli effetti collaterali che in futuro potrebbe essere superato grazie all’analisi di alcune varianti genetiche.
Uno studio avviato nel 2005, coordinato dall’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova, ha permesso infatti di individuare tre varianti correlate sia ad una minore incidenza di effetti collaterali del trattamento che ad un rischio maggiore di recidiva della malattia.
L’analisi di queste varianti potrebbe quindi condurre a una maggiore personalizzazione della terapia ormonale adiuvante; un percorso che ad oggi, purtroppo, finisce per essere abbandonato precocemente da quasi un terzo delle pazienti con tumore al seno, anche a causa del timore degli effetti collaterali.