si alla terapia del dolore anche all’inizio del percorso oncologico
Terapia del dolore, e il pensiero va subito al fine vita. Ma è un luogo comune da scardinare: si può attivare se necessario sin dall’inizio del percorso di trattamenti oncologici. Lo dice la legge 38 del 15 marzo 2010 che tutela e garantisce l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, sottolineandone il diritto, al fine di una buona qualità di vita in ogni fase della malattia. E lo chiarisce anche la “Carta dei diritti sul dolore inutile” stilata da Cittadinanzattiva nel 2004, ma ancora estremamente attuale. Ma quando “entra in azione” la terapia del dolore? Ed è vero che il dolore, oltre che inutile, può essere anche dannoso? Per saperne di più ne abbiamo parlato con Arturo Cuomo, Direttore della Struttura Complessa di Anestesia, Rianimazione e Terapia Antalgica dell’Istituto Nazionale Tumori Pascale di Napoli.
Professor Cuomo, noi ci rivolgiamo in particolare alle donne: è vero che in assoluto il dolore al femminile ha una maggiore intensità rispetto a quello maschile?
Assolutamente sì. Tutti gli studi lo dimostrano, anche se ad oggi non è ancora stata data una risposta fisiologica convincente. Certo è che la donna antropologicamente è più abituata alla sofferenza e questo purtroppo fa sì che abbia un grado di sopportazione decisamente più elevato rispetto al maschio. In sostanza, la donna si fa carico del dolore e non ne parla al medico, senza pensare che in questo modo non si fa del bene, anzi.
In che senso professore?
Le terapie oncologiche, anche le più innovative, possono avere come effetto collaterale il dolore. E l’intensità può essere tale da incidere in termini di sofferenza personale e di aderenza alle terapie. Per esempio: se la paziente si sveglia la mattina con una crisi di dolore forte, probabilmente non riesce a rispettare l’appuntamento per la TAC che è stata programmata. Oppure a recarsi in ospedale per il ciclo di immunoterapia e questo va a scapito del processo di guarigione. Ciò non accade se la paziente ha il dolore sotto controllo. Questo è un dato di fatto e lo riscontriamo quotidianamente nella pratica clinica, ma è anche stato evidenziato dagli studi clinici. In un lavoro italo-finlandese è stato rilevato l’impatto derivante dall’integrazione di cure palliative e trattamenti oncologici. Tra gli effetti positivi, i ricercatori hanno evidenziato la riduzione della depressione, il miglioramento dei sintomi fisici, la soddisfazione per le cure ricevute.
Non abbiamo parlato del dolore post-operatorio: è inevitabile?
È inevitabile il dolore, certo, ma questo non significa che non si possa tenere sotto controllo. Purtroppo, però, devo dire che ancora oggi è un tipo di dolore molto sottovalutato. Anche qui ci sono lavori scientifici a dimostrare che il dolore, se non viene tenuto sotto controllo, provoca una serie di alterazioni cardiocircolatorie e respiratorie che compromettono il decorso post-operatorio. Per questo, bisogna pretendere che venga curato il dolore post-operatorio, chiedere informazioni durante la visita preoperatoria e non solo per non provare dolore al risveglio. Se infatti non viene curato in maniera adeguata, può diventare nell’arco delle settimane e dei mesi, dolore cronico, ben più difficile da trattare.
C’è ancora l’idea che gli unici medicinali siano gli oppioidi, è vero?
No, è un mito da sfatare. Oggi abbiamo una serie di tecniche mininvasive e farmacologiche che si possono usare in ogni fase della malattia e che consentono di non provare dolore. Hanno inoltre il vantaggio di non causare sonnolenza, o calo dell’attenzione, a vantaggio della qualità di vita della paziente. Invito, quindi le donne a non sottovalutare mai il dolore, ma di parlarne con l’oncologo anche se nella loro valutazione personale si tratta di dolori sopportabili. Il dolore non va sopportato mai, va eradicato.