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Studio positive | diventare mamme dopo il tumore si può 

Lo studio Positive, i cui dati sono stati oggetto di dibattito all’ultima edizione del San Antonio Breast Cancer Symposium, potrebbe diventare un faro di speranza per tutte le pazienti con tumore al seno in cerca di maternità. 

La sperimentazione, condotta dall’International Breast Cancer Study Group con la collaborazione di centri oncologici e gruppi di studio da tutto il mondo, ha coinvolto oltre 500 donne con tumore al seno ormonosensibile in stadio iniziale e di età non superiore ai 42 anni.  

Secondo quanto riportato nello studio Positive, il tasso di recidiva a tre anni nelle pazienti che hanno interrotto la terapia ormonale adiuvante per due anni allo scopo di ripristinare la propria fertilità è stato dell’8,9%. Una percentuale, va specificato, non troppo diversa da quella riscontrata nelle pazienti in pre-menopausa sottoposte alla medesima terapia. 

Ulteriori dati incoraggianti riguardano le gravidanze portate a termine con successo (64% dei casi) dopo la sospensione di cui sopra. 

In altri termini, ciò che lo studio Positive ha dimostrato è che l’interruzione biennale della terapia adiuvante non incide sulla possibilità di sviluppare nuovamente la malattia. 

La fertilità nelle pazienti oncologiche 

Perché la fertilità rappresenta un aspetto così complesso per le pazienti con tumore al seno? Facciamo un passo indietro. 
Come sappiamo, una parte considerevole dei carcinomi mammari viene definita ormonosensibile oppure ormonoresponsiva: parliamo di tumori caratterizzati dalla presenza di recettori che si legano agli ormoni femminili, nello specifico progesterone ed estrogeni.  

In questi casi le opzioni terapeutiche indicate comprendono la terapia ormonale, che inibisce l’azione degli ormoni implicati nella crescita tumorale. Questa soluzione farmacologica può essere prescritta come trattamento neoadiuvante, per ridurre la massa tumorale prima di un intervento chirurgico, o come trattamento adiuvante, ossia conseguente alla chirurgia o alla terapia di prima linea, finalizzata a ridurre il rischio di recidiva. 

La terapia adiuvante, intervenendo sulla produzione ormonale, può indurre la menopausa precoce. Lo standard terapeutico suggerito prevede cinque anni di somministrazione: ciò implica una pausa considerevole nelle possibilità di concepimento delle pazienti in età fertile. Anche se l’età avanzata rappresenta un fattore di rischio per l’insorgenza della malattia, è altrettanto vero che il numero di carcinomi diagnosticati sotto i 40 anni è in crescita.  

Secondo i dati dell’ASCO, ad esempio, negli Stati Uniti circa il 5% delle nuove diagnosi effettuate ogni anno riguarda donne d’età inferiore ai 40 anni. 
La percentuale di pazienti che al momento della diagnosi esprimono preoccupazione per la propria fertilità, invece, si colloca tra il 40% e il 60%. Non dissimili i dati relativi alla popolazione italiana: al momento della diagnosi il 50% delle donne dichiara di volere una gravidanza. 

Un dato che stona con quello estremamente più basso delle pazienti con tumore al seno che effettivamente riescono a diventare mamme dopo il tumore: solo il 5%

La speranza è che le evidenze dello studio Positive contribuiscano a cambiare la situazione, restituendo la maternità alle donne che hanno affrontato il tumore al seno.