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Autismo, salute e accessibilità: una riflessione 

Autismo, questo sconosciuto. 
Sull’autismo circolano convinzioni per lo più confuse. La responsabilità, va detto, non è solo individuale. La consapevolezza su questa condizione risente infatti del conflitto in atto tra scienza e comunità autistica, in disaccordo sulle definizioni da considerare corrette. 

Sebbene la maggior parte delle fonti scientifiche ed istituzionali lo descrivano come una patologia – per la precisione un disturbo del neurosviluppo – negli ultimi anni diverse voci contrarie si sono levate per contraddire questa classificazione. Soprattutto sul web, dove alcuni attivisti ribadiscono tutt’altro: l’autismo non è una sindrome ma una neurodivergenza

In altre parole, i comportamenti che talvolta accomunano le persone autistiche non andrebbero considerati come sintomi, ma semplicemente come caratteristiche afferenti ad una forma mentis altra rispetto a quella neurotipica. 

Spettro autistico: di cosa si tratta 

E la sindrome di Asperger? Anche qui occorre qualche chiarimento. Come per l’autismo, viene definita dai manuali scientifici un disturbo del neurosviluppo. Al di là delle già citate perplessità avanzate dalle persone autistiche su questa definizione, quello che è certo è che dal 2013 la sindrome non è più ritenuta “a sé stante” rispetto all’autismo ma fatta rientrare nel cosiddetto spettro autistico. 

La sindrome di Asperger, come l’autismo, è identificata sulla base di caratteristiche molto diffuse, tra cui possiamo trovare:  

  • La selettività alimentare; 
  • La sensibilità agli stimoli sensoriali (luci, rumori, folla); 
  • Gli interessi assorbenti; 
  • Lo stimming. 

Per stimming si intende un comportamento ripetuto, che può esprimersi attraverso parole o movimenti (ad esempio, agitare le mani, giocare con oggetti particolari, sfregarsi i capelli).

Con interessi assorbenti, invece, si fa riferimento a passioni verso le quali il soggetto mostra grandissima attenzione e per le quali investe molto tempo ed energie. 

Servizi sanitari difficoltosi per i pazienti autistici 

I servizi sanitari possono mettere qualsiasi persona, autistica o no, di fronte a carichi di stress non indifferenti. Pensiamo ad esempio alla necessità di prenotare una visita, di interfacciarsi con tante persone diverse (specialisti, addetti di segreteria, infermieri), di capire come raggiungere la sede di riferimento e, in alcuni casi, anche di barcamenarsi tra più strutture o più medici. 

Per i pazienti autistici, l’accesso ai servizi sanitari può rappresentare una vera sfida, e a confermarlo giungono i risultati di diverse indagini. 

Uno studio scientifico dello scorso anno, ad esempio, ha analizzato gli esiti di un questionario anonimo sottoposto a circa 90 adulti, di cui due terzi autistici. Obiettivo della ricerca era la valutazione delle esperienze sensoriali vissute dai pazienti neurodivergenti nel contesto ospedaliero, nonché delle principali barriere comunicative avvertite. 

Quello che è emerso ha confermato le difficoltà dell’utenza autistica. I partecipanti hanno infatti dichiarato di essersi sentiti spesso a disagio o stressati in seguito agli eccessivi stimoli uditivi e alla presenza di troppe persone. Di conseguenza, anche la capacità dei pazienti di interagire con i medici ne è risultata compromessa. 

Come evidenziato dagli autori dello studio, l’esperienza riportata dai partecipanti va inquadrata tenendo conto sia delle esigenze mediche delle persone autistiche, talvolta più gravose rispetto a quelle della popolazione neurotipica, sia delle sue possibili conseguenze (assistenza inadeguata ed evitamento degli ambienti sanitari). 

Un ulteriore articolo scientifico comparso nel 2022 ha affrontato invece l’aspetto della comunicazione medico/paziente, partendo da alcune interviste a consulenti, psicologi e adulti autistici. Alle persone coinvolte è stato chiesto di raccontare le loro esperienze in merito al rapporto con i professionisti del mondo sanitario. 

Anche in questo caso, la premessa dell’indagine poggia sulla consapevolezza delle difficoltà relazionali spesso avvertite dai pazienti autistici, che lamentano atteggiamenti di condiscendenza nei loro confronti. 

Tra i suggerimenti agli specialisti indicati dagli intervistati per migliorare la relazione clinica troviamo: 

  • Mostrare empatia e comprensione verso il paziente; 
  • Evitare indicazioni o consigli volti a “cambiareil paziente o a trasformarlo in una persona diversa; 
  • Porsi in maniera autentica. 

Il tumore che legame ha con tutto questo? 

Il tumore, questo è chiaro, è una patologia che può costringere ad accessi ospedalieri molto ravvicinati, dovuti alla necessità di sottoporsi a terapie e follow-up. Il che si traduce spesso in file su file, documentazioni da tenere sottomano, ping pong tra reparti, specialisti ed esami diversi. 

Se tutto ciò può diventare fonte di enorme stress per una persona neurotipica con un tumore, non è difficile immaginare quanto possa esserlo per il paziente neurodivergente, per il quale anche i rumori eccessivi o la presenza di troppe persone nella stanza possono diventare fattori scatenanti di un meltdown.  

Preso atto di queste difficoltà, sarebbe opportuno che dalle istituzioni arrivassero segnali di interesse verso la problematica. Un esempio sarebbe la formazione del personale sanitario sul tema o la creazione di percorsi specifici, non molto diversamente da quanto proposto da Europa Donna Italia per le pazienti con tumore al seno metastatico. 

Un modello in tal senso arriva da Torino, dove l’anno scorso è stato testato un protocollo di accesso ai servizi sanitari pensato specificamente per adulti e bambini autistici.