Comunicare con il paziente oncologico: in che modo?
Saper comunicare con il paziente è un’attitudine sempre più richiesta agli operatori sanitari, in ambito oncologico e non. La diagnosi di tumore, con tutto quel che comporta in termini di impatto sul corpo e sulla mente, richiede tuttavia abilità specifiche nel rapportarsi con individui spesso spaventati, confusi e bisognosi non solo di informazioni, ma anche e soprattutto di conforto.
Mentre da un lato di questa relazione c’è una persona con esigenze emotive complesse, dall’altra c’è un professionista talvolta vincolato da un ruolo di responsabilità e dalla necessità di bilanciare la speranza con il pragmatismo.
L’alleanza terapeutica passa anche dal linguaggio
Alleanza terapeutica è un’espressione sempre più spesso utilizzata per riferirsi alla necessaria condivisione del percorso di cura e degli obiettivi da raggiungere tra il medico e il suo assistito. Stabilire una collaborazione fatta di responsabilità e compiti distribuiti tra le due parti è un passaggio imprescindibile per la buona riuscita dei trattamenti. Il dialogo, da questo punto di vista, assume un ruolo ancor più rilevante, non solo per l’oncologo, ma per tutte le figure chiamate a confrontarsi con il paziente: infermieri, case manager, chirurghi, psiconcologi.
Quali, quindi, le vie per comunicare con il paziente oncologico nel modo migliore?
Modulare il lessico
Lo specialista, in virtù delle sue competenze, può cedere ad un lessico eccessivamente tecnico. Usare terminologie oscure per il paziente è un errore che può influire negativamente sul rapporto con quest’ultimo, poiché pone l’accento sulle differenze di ruolo tra i due attori coinvolti. Un linguaggio poco comprensibile aumenterà il divario tra medico e assistito e non aiuterà il secondo ad avere un’idea chiara di ciò che sta affrontando. Non è da escludere, inoltre, la possibilità che il paziente si senta intimidito dal tenore dalla conversazione e abbandoni l’idea di porre domande, cercando risposte ai suoi dubbi altrove (per esempio online).
Fare domande
Non esiste un paziente uguale a un altro, anche a parità di condizioni cliniche. Per questo motivo è importante che l’operatore sanitario cerchi di capire chi ha di fronte, ponendo all’interlocutore domande che permettano di chiarirgli cosa il paziente sappia già della propria malattia, con quali specialisti si sia eventualmente già confrontato, cosa si aspetti dal percorso terapeutico, quali siano i suoi dubbi, le sue paure e così via.
Ascoltare
Saper comunicare con il paziente oncologico significa anche saper spostare il focus della conversazione da sé all’altro. Il questo senso è stata più volte sottolineata l’importanza dell’ascolto attivo, una modalità di “ricezione” delle informazioni che deve la sua definizione agli psicologi Carl Rogers e Richard Farson.
Questa pratica può includere diverse strategie: osservare il linguaggio non verbale adottato dal paziente e controllare il proprio (ad esempio assumendo posture che comunichino apertura, stabilendo un contatto visivo, utilizzando un tono di voce pacato etc), evitare di interrompere l’interlocutore, dimostrare interesse e coinvolgimento nella conversazione, per esempio ponendo domande atte a verificare di aver compreso appieno la questione o riepilogando brevemente quanto detto dal paziente.
Quest’ultimo punto, definito anche riformulazione, consente all’operatore sanitario sia di chiarire l’oggetto reale del discorso che di entrare in relazione con l’altro, comunicando partecipazione e invogliando l’assistito a proseguire.
Rispondere nel modo adeguato
Un paziente con una diagnosi di tumore può facilmente sentirsi sopraffatto e lasciar emergere queste emozioni nel dialogo con lo specialista. Quest’ultimo deve quindi saper intercettare i segnali del disagio emotivo del paziente e tenerne conto nel replicare. In particolare, è bene che lo specialista risponda solo a quanto esplicitamente richiesto dal paziente, fornendo informazioni in modo graduale e rispettando i tempi necessari all’assistito per metabolizzare il tutto.
Gli accenni alle possibilità di sopravvivenza e alla durata del percorso terapeutico vanno affrontati con delicatezza e solo se e quando sollevati dalla controparte.
Comunicare con il paziente oncologico, lo ricordiamo, non è sinonimo di informare. Una relazione efficace, che porti alla tanto auspicata alleanza terapeutica, comporta ben più di un semplice scambio di nozioni. Servono empatia e capacità di entrare in contatto con l’altro, indagando sui suoi bisogni e sulle sue difficoltà.