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Donazione di sangue: perché i malati oncologici ne sono esclusi

La donazione di sangue è un atto di cura e solidarietà verso la comunità che, dal 2005, gode di un momento di celebrazione tutto suo: il 14 giugno, Giornata Mondiale del Donatore di Sangue. Una ricorrenza voluta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e fatta coincidere con il giorno della nascita di Karl Landsteiner, biologo che nel 1900 identificò tre dei quattro gruppi sanguigni esistenti, spianando di fatto la strada a un utilizzo sicuro delle trasfusioni. Dopo la pandemia, denuncia il Ministero della Salute, la donazione di sangue è una pratica in leggero calo tra gli italiani, nonostante da questa dipenda il decorso di diverse malattie, quali la talassemia ed altre emoglobinopatie.

Come è noto, non tutte le persone sono ritenute idonee ad effettuare la donazione: oltre all’assunzione di farmaci specifici e la positività a malattie trasmissibili, tra i criteri di esclusione c’è l’essere pazienti o ex pazienti oncologici. Per la verità, la donazione di sangue è concessa anche alle persone affette da alcune specifiche neoplasie, come il carcinoma basocellulare primario, il carcinoma in situ della cervice uterina e alcuni tumori primari del sistema nervoso centrale, da valutare sulla base della documentazione presentata. Le persone che risultano guarite di queste malattie, e il cui stato di salute non comprende il rischio di una recidiva o la necessità di ulteriori terapie, possono pertanto richiedere al proprio medico una valutazione di idoneità alla donazione di sangue, che avviene dopo un’attenta disamina del caso clinico.

La normativa italiana, aggiornata al 2015, non fa riferimento esplicito alle motivazioni per cui i malati o gli ex malati di cancro non possono accedere alla donazione di sangue, ma è lecito supporre che gli effetti collaterali delle terapie oncologiche, soprattutto chemio e radioterapia, lascino tracce nell’organismo che rendono la pratica pericolosa.

Permane anche l’idea che il cancro possa in qualche modo “trasmettersi” per via ematica dal donatore al ricevente, ma la ricerca scientifica non è ancora stata in grado di dimostrare in modo netto questa causalità.

Il cancro si può trasmettere? Uno studio dice di no

Il cancro si può trasmettere per via ematica attraverso una trasfusione? Questa eventualità è al centro di uno studio condotto dai ricercatori della Scuola Europea di Oncologia, che hanno analizzato la diffusione della malattia nelle persone che avevano ricevuto una donazione di sangue da soggetti a cui negli anni successivi era stato diagnosticato un tumore. Confrontando l’incidenza nei due gruppi di riceventi (da donatori rimasti in salute e da donatori ammalatisi in seguito) i ricercatori hanno dimostrato l’assenza di un nesso tra il cancro intercorso nel donatore e un rischio più elevato di tumore per il destinatario.

La possibilità di sviluppare la neoplasia in seguito ad una trasfusione ricevuta da un donatore divenuto malato oncologico non risulta più elevata nemmeno per quei tumori correlati ad una maggiore probabilità di sviluppare metastasi nel sangue, come il cancro ai polmoni o al fegato.