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Diritti del malato: una panoramica su tumore e lavoro

I diritti del malato di tumore in ambito lavorativo sono regolati da diverse leggi – tra cui la nota 104/1992, ma anche i decreti legislativi 66/2001 e 81/2015 – che garantiscono una serie di tutele per coloro ai quali è stato riconosciuto lo stato di handicap grave. Tra queste, la possibilità di richiedere il trasferimento presso la sede o filiale più vicina al proprio domicilio, l’adeguamento delle mansioni assegnate sulla base del nuovo stato di salute, l’esonero dagli eventuali turni di notte e l’accesso a forme di lavoro a orario ridotto o in smartworking. Oltre a ciò, vengono concesse 2 ore di permesso o tre giorni pieni al mese di cui usufruire. Non dissimili sono le tutele garantite a chi si prende cura di un malato di tumore in maniera continuativa, ossia il caregiver.

Nonostante ciò, i dati emersi dall’analisi delle conseguenze della diagnosi di cancro sulla vita professionale sono tutt’altro che incoraggianti: un’indagine condotta da FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) e Censis ha stimato che nei primi dieci anni del nuovo millennio abbiano perso il lavoro – per licenziamento o perché costrette a dare le dimissioni – oltre 240.000 persone affette da tumore. La stessa ricerca ha messo in luce non solo i numeri relativi alla perdita del lavoro in sé per sé, ma più in generale gli esiti negativi della scoperta della malattia sulle prospettive professionali: il 10,7% degli intervistati ha dichiarato di aver dovuto mettere da parte i propositi di carriera, il 30,9% ha dovuto constatare un calo nel rendimento, il 2,9% è stato costretto a cambiare lavoro. Soltanto il 21,8% dei soggetti interpellati non ha dovuto affrontare particolari cambiamenti dopo la diagnosi.

Una situazione che certamente risente anche della scarsa conoscenza dei diritti del malato: uno studio sul reinserimento lavorativo delle donne affette da tumore, condotto dalla Luiss Business School, ha evidenziato come solo il 28% delle intervistate sapesse di poter richiedere un part-time provvisorio, il 29% di poter passare a mansioni diverse e il 33% di poter programmare visite e trattamenti senza utilizzare le ore di ferie o di permesso in busta paga; tutele alle quali pochissime hanno deciso di fare ricorso.

Il rientro al lavoro dopo il cancro

Il rientro al lavoro in seguito al percorso terapeutico rappresenta un altro tasto dolente per chi affronta le patologie oncologiche, anche a prescindere dall’avvenuta guarigione. Secondo la già citata indagine della Luiss Business School, oltre la metà delle persone coinvolte – il 57% – ha dichiarato di aver dovuto affrontare difficoltà di vario genere, dal mobbing al mancato avanzamento di carriera fino al demansionamento, sia durante la malattia che al ritorno in ufficio.  Non si tratta di una percezione soggettiva, ma di un contesto problematico ulteriormente confermato da uno studio pubblicato sul Journal of Applied Psychology, la rivista dell’Associazione Americana di Psicologia. Obiettivo della ricerca era quello di valutare il divario nelle possibilità di assunzione tra chi durante i colloqui avesse taciuto di aver avuto un tumore rispetto ai candidati meno reticenti. Questi ultimi, raccontano i dati, sono risultati svantaggiati nel percorso di selezione: nonostante i partecipanti confrontati fossero stati scelti a parità di competenze ed esperienze pregresse, gli ex malati sono stati richiamati per proseguire i processi di selezione con minor frequenza.

Ad oggi, le persone guarite da una patologia oncologica sono 900mila: una stima destinata probabilmente a crescere nei prossimi anni, in virtù sia dell’andamento calante già notato nei tassi di mortalità che dei progressi della ricerca scientifica nell’ambito delle soluzioni farmacologiche e terapeutiche.  Centinaia di migliaia di ex pazienti per i quali la guarigione non ha segnato la fine di un percorso ancora in salita: a questo scopo nasce l’iniziativa di Fondazione AIOM per il diritto all’oblio oncologico.

Oblio oncologico: la campagna di Fondazione AIOM

L’oblio oncologico è un diritto ad oggi garantito in diversi paesi europei come forma di tutela dalle discriminazioni verso i cittadini guariti da un tumore. Anche molti anni dopo il superamento della malattia, infatti, l’accesso ad alcuni servizi è ostacolato dalla necessità di rilasciare informazioni dettagliate sul proprio stato di salute, presente e passato. Nella fattispecie, la domanda di mutui o prestiti, l’accesso a pratiche assicurative e persino le richieste di adozione sono vincolate dall’obbligo di dichiarare di aver avuto il cancro, con esiti spesso nefasti per il raggiungimento dei propri obiettivi.

Per porre fine alla discriminazione Fondazione AIOM ha lanciato a gennaio 2022 la campagna di sensibilizzazione #iononsonoilmiotumore, sostenuta da AIOM e diverse associazioni attive in ambito oncologico, tra cui FAVO, LILT, AIL, IncontraDonna Onlus e AIEOP. Scopo dell’iniziativa è raccogliere le firme necessarie per presentare una proposta di legge ad hoc che, se approvata, potrebbe consentire alle persone guarite da 5 anni (nei casi di tumori insorti in età pediatrica) o da 10 anni (per le patologie comparse in età adulta) di non essere più considerate alla stregua di pazienti.

Diritto all’oblio: l’esempio degli altri paesi europei

La Francia è stata la prima nazione europea a garantire il diritto all’oblio oncologico per le persone guarite dal tumore: nel marzo del 2015 è stato firmato un accordo tra il governo e le compagnie assicurative che due anni dopo è diventato legge a tutti gli effetti. A differenza di quanto proposto dalla campagna di Fondazione AIOM, la normativa francese prevede la possibilità di non dichiarare la propria malattia dopo cinque anni dal termine delle terapie per i casi di tumore intercorsi prima della maggiore età o dopo 15 anni se la malattia si è sviluppata successivamente, a prescindere dalla tipologia di cancro in questione.

A questa iniziativa seguono quelle del Lussemburgo, il cui governo ha promosso nel 2019 un accordo tra Ministero della Salute, l’ACA (Association des Compagnies d’Assurances et de Réassurances) e diverse compagnie assicurative del territorio, e le leggi promulgate in Belgio ed Olanda nel 2020, molto simili a quella francese. L’ultimo paese europeo a legiferare in tal senso è stato il Portogallo, che nell’ottobre 2021 ha approvato le legge 75/2021, introducendo così la possibilità per gli ex malati di tumore di non fornire informazioni sul proprio stato di salute dopo 10 anni dalla fine delle cure, 5 in caso di una patologia manifestatasi prima dei 21 anni o addirittura dopo 2 anni di protocollo terapeutico continuativo ed efficace per le patologie gravi – anche non oncologiche – o le disabilità mitigate.

L’Italia potrebbe essere il prossimo paese europeo a portare avanti quest’importante battaglia di civiltà: partecipa alla campagna di Fondazione AIOM e lascia la tua firma qui.