Cancro contro Covid: l’impatto del Covid sul tumore al seno
Il 13 dicembre del 2019 arrivavano all’attenzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) le prime segnalazioni di un cluster di casi di polmonite a eziologia ignota, localizzate nella città di Wuhan, in Cina.
Da lì a pochi giorni veniva presentata la “carta di identità” del nuovo coronavirus e arrivava la conferma di quello che già si sospettava: era nata una nuova malattia virale, trasmissibile da uomo a uomo.
Così abbiamo iniziato a sentir parlare del Covid-19 assistendo, in questi due anni, alla serie di ondate che ha caratterizzato il progredire di un’emergenza sanitaria che ha cambiato significativamente, a livello nazionale e globale, il nostro modo di vivere e di pensare.
Tra le tante ripercussioni che la pandemia ha portato con sé, Europa Donna Italia, in collaborazione con Senonetwork e con il supporto metodologico di ALTEMS, ha voluto analizzare quale sia stato l’impatto del Covid-19 sulla senologia, avviando un’indagine condotta su due fronti: da un lato le pazienti e le donne in follow up e, dall’altro, i coordinatori delle Breast Unit.
In questo modo, è stato possibile portare alla luce diversi aspetti legati alla gestione delle pazienti durante la prima e la seconda ondata della pandemia da Covid-19.
I ritardi nelle prestazioni sanitarie
Stando ai risultati della rilevazione, le prestazioni posticipate durante la prima ondata si sono accumulate generando un effetto a catena che si è tradotto, nella seconda ondata, in un numero di prestazioni annullate considerevolmente più alto rispetto alla prima.
Nello specifico: per quanto riguarda le visite specialistiche annullate, si è passati dal 38% nella prima ondata all’89% nella seconda, con solo il 50% di riprogrammazioni alla fine della seconda ondata.
Più contenuto, ma comunque rilevante, è stato l’impatto sulle operazioni sospese, con il passaggio dal 27 al 30% ma, questa volta, con il 100% delle riprogrammazioni.
Quasi invariata, invece, è stata l’erogazione delle cure come chemioterapie e radioterapie, ritardate solo per il 2 o 3%.
L’impatto psicologico
L’emergenza sanitaria, però, non ha impattato solo sui tempi di erogazione delle prestazioni. Le ripercussioni che la realtà dell’ultimo anno e mezzo ha avuto sulle persone, sono spesso sottili e ricche di sfumature difficili da esprimere in termini numerici.
Da non sottovalutare, infatti, c’è l’effetto che la pandemia ha avuto sullo stato psicologico non solo delle pazienti in cura presso le Breast Unit, ma anche dei professionisti sanitari delle stesse.
Il forte stress psicologico ed emotivo al quale i professionisti sono stati sottoposti ha inciso sulla loro situazione psicologica, mettendoli davanti alla necessità di fare fronte a una moltitudine di fattori di stress come, ad esempio, il dolore per la morte di così tanti pazienti, la paura di contrarre il virus e di infettare i propri cari e la rabbia per le disparità nell’erogazione delle prestazioni sanitarie. Basta pensare che, tra i rispondenti che fanno parte del personale delle Breast Unit, è stato rilevato un tasso di contagio del 40% contro il 4% che ha interessato le pazienti.
Ma, accanto al dolore e alle perdite, dalla rilevazione condotta emerge un dato altrettanto importante: un generale miglioramento nelle performance dovuto alla necessità di rispondere in maniera tempestiva a fenomeni non ancora ben noti dal mondo scientifico.
Il ruolo delle associazioni
Durante la pandemia, un valido aiuto è arrivato dalle associazioni di volontariato, che si sono reinventate per riuscire a garantire, anche da remoto, una serie di attività di sostegno e di assistenza concreta, facendo sì che le pazienti potessero continuare a contare sul supporto di cui necessitavano.
Stando a quanto emerso dalle risposte delle pazienti intervistate, nel 68% dei casi sono state garantite attività da remoto, mentre il 25% delle rispondenti ha potuto accedere a servizi di assistenza in presenza.
La telemedicina
Tra i fattori presi in analisi nell’indagine, c’è l’implementazione e l’utilizzo della telemedicina. Le prestazioni erogate hanno supportato i professionisti per svolgere da remoto le visite o i controlli che altrimenti sarebbero stati annullati. In questo caso, però, ad essere soddisfatte dall’efficacia di questi strumenti sono più le pazienti (circa il 76%) che i professionisti, tra i quali solo una bassa percentuale (il 24%) ritiene che la telemedicina possa essere una valida alternativa alle visite e ai consulti effettuati di persona.