Olaparib, nuova terapia per il trattamento precauzionale del tumore al seno nelle donne con mutazione BRCA 1 e 2
Nelle donne portatrici di mutazioni BRCA con tumore al seno in fase iniziale HER2-negativo, l’assunzione di Olaparib per un anno dopo il completamento della terapia standard riduce notevolmente il rischio di recidiva, senza comportare un aumento della tossicità né compromettere la qualità della vita.
Lo studio clinico OlympiA, presentato al Congresso dell’American Society of Clinical Oncology, ha dimostrato la capacità del farmaco Olaparib di dimezzare il rischio di ricomparsa del tumore nelle donne portatrici di mutazione BRCA1 e 2. Un risultato importante che mette in evidenza la necessità di sottoporre al test genetico, necessario per accertare la presenza della mutazione, tutte le donne che potrebbero beneficiare di questa nuova terapia.
Lo studio clinico
Attraverso le reti del Breast International Group e del National Cancer Institute, da giugno 2014 a maggio 2019 sono state reclutate 1.836 pazienti con mutazioni BRCA1 e BRCA2, affette da tumore al seno HER2-negativo in fase iniziale, che avevano già ricevuto i trattamenti standard: intervento chirurgico e chemioterapia (prima o dopo l’intervento, quindi neoadiuvante o adiuvante). Le pazienti reclutate sono state suddivise in modo casuale (randomizzato) in due gruppi: per un anno, quelle di un gruppo hanno ricevuto il farmaco Olaparib e quelle dell’altro gruppo hanno ricevuto un placebo.
I risultati
Un’analisi preliminare, realizzata a due anni e mezzo dal trattamento con Olaparib, ha rivelato una riduzione del 42% del rischio di ricomparsa di malattia invasiva o di morte nelle pazienti con tumore dallo stadio II (tumore di più di 2 cm di diametro, oppure inferiore a 2 cm ma con linfonodi coinvolti) allo stadio IIIA (tumore di grandi dimensioni oppure che ha invaso diversi linfonodi) e nelle pazienti che, dopo la chemioterapia neoadiuvante, non avevano ottenuto una risposta patologica completa (assenza di tumore).
Olaparib ha anche ridotto il rischio di sviluppo di metastasi o morte del 43%, ottenendo, a tre anni dal trattamento, un miglioramento assoluto del 7,1% nel tasso di sopravvivenza libera da malattia.
Oltre agli esiti di sopravvivenza libera da malattia, l’uso di Olaparib ha comportato un aumento del 3,7% nel tasso di sopravvivenza globale a tre anni dal trattamento, un dato verosimilmente correlato alla diminuzione delle recidive.
Gli effetti collaterali
Per quanto riguarda gli effetti collaterali, le pazienti in cura con Olaparib sono state più spesso soggette a nausea (57% contro 23%), affaticamento (40% contro 27%), anemia (23% contro 4%) e vomito (23% contro 8%) rispetto a quelle che hanno ricevuto il placebo, ma la maggior parte di questi disturbi era di entità lieve. Gli effetti collaterali più rilevanti associati a Olaparib includevano bassi livelli di globuli rossi (anemia, 9%) e di alcuni globuli bianchi (neutropenia 5%, leucopenia 3%), e affaticamento (2%).
Sulla base dei dati oggi disponibili, Olaparib non ha comunque comportato un aumento di eventi avversi gravi o di particolare rilevanza, rispetto al placebo.
Olaparib, come funziona
Le mutazioni germinali – quelle cioè presenti nelle cellule che svolgono la funzione riproduttiva e che quindi possono essere trasmesse per via ereditaria – quando interessano i geni BRCA1 e BRCA2 compromettono la loro capacità di correggere i danni a carico del DNA, e quindi favoriscono lo sviluppo e la progressione di forme aggressive di tumore.
Questi tumori, correlati alle mutazioni BRCA1 e 2, di solito vengono curati con la chemioterapia, abbinata o meno alla terapia anti-ormonale, ma questo trattamento mantiene alto il rischio di ricomparsa della malattia.
Olaparib appartiene alla classe di farmaci cosiddetti inibitori di PARP (poli-ADP-ribosio polimerasi), una famiglia di proteine coinvolte nel processo di riparazione del DNA. Questi farmaci sfruttano i punti deboli, provocati dalla mutazione dei geni BRCA1 e 2, nella riparazione della doppia elica del DNA delle cellule tumorali, accentuano le rotture del DNA e provocano così la morte delle cellule malate.
I test genetici
I risultati dello studio OlympiA rafforzano la necessità di identificare in modo sistematico, tra le pazienti con tumore al seno in fase iniziale, quelle portatrici di mutazioni BRCA, tramite gli appositi test genetici. Se infatti finora questi i test sono stati utilizzati principalmente nelle donne sane con mutazione BRCA per valutare e gestire il rischio di sviluppare un tumore futuro, oggi le informazioni fornite dai test sono necessarie anche nella fase iniziale della malattia, per stabilire la terapia più appropriata.
L’opportunità di utilizzare Olaparib come terapia adiuvante nelle pazienti con mutazioni BRCA potrebbe arrivare presto anche nel nostro Paese: occorrerà allora essere pronti a intensificare l’esecuzione dei test genetici necessari per rilevare la mutazione BRCA per garantire che tutte le pazienti con questa caratteristica abbiano accesso al nuovo trattamento.