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Pinuccia e i 10 mila iscritti al suo gruppo Facebook “Tumore al seno”


Ho da subito chiamato il mio gruppo Tumore al seno perché ho pensato che se le persone avessero avuto bisogno di trovare informazioni e sostegno, avrebbero cercato direttamente il tema, senza tanti giri di parole.

Pinuccia Musumeci

Abbiamo intervistato Pinuccia Musumeci fondatrice e amministratrice di “Tumore al seno”: un gruppo Facebook nato 10 anni fa per dare voce a quelle donne che, colpite dalla malattia, non sapevano a chi rivolgersi per chiedere aiuto, consigli, per condividere paure e speranze. Oggi “Tumore al seno” ha raggiunto più di 10 mila iscritti.

EDI: Il risultato che hai raggiunto è straordinario! Il tuo è uno dei gruppi chiusi più seguiti in assoluto su Facebook, per la tua capacità di dare il consiglio giusto al momento giusto, perché le iscritte sono sì pazienti ma in fase diverse del percorso, veterane e donne fresche di diagnosi, tante … troppe volte disorientate. Ma come è nato tutto ciò?

PM: Il gruppo è nato per caso da una proposta di mia figlia, che dieci anni fa mi disse: “Guarda mamma, prova ad usare Facebook, penso che sia utile per realizzare il tuo sogno- desiderio di aiutare le donne con tumore al seno”.

All’epoca non conoscevo Facebook, non avevo idea delle sue potenzialità, né sapevo usare il social. Mi sono fidata di mia figlia ed ho iniziato a scrivere.

EDI: E di cosa scrivevi?

PM: Scrivevo di me, della mia esperienza a titolo personale ed accoglievo consensi da persone sconosciute che si relazionavano per condividere l’esperienza malattia. Ho provato allora ad aprire un gruppo, invitando alcune persone che conoscevo e che, come me, avevano avuto il tumore al seno. Così è nato “Tumore al seno”.  Mi ricordo che quando raggiunsi i 100 iscritti, mi sembrava una cosa enorme!

EDI: Perché lo hai chiamato “Tumore al seno”?

PM: Ho evitato inutili giri di parole: ho pensato che se le persone avessero avuto bisogno di trovare informazioni e condivisione, avrebbero cercato direttamente il tema

EDI: Chi sono i tuoi iscritti?

PM: All’inizio il gruppo era formato da uomini e donne ma, in un secondo momento, ho estromesso gli uomini perché il loro comportamento e la loro presenza non permetteva di esprimere i veri bisogni di chi stava confrontandosi con la malattia.

EDI: Dicevamo appunto della tua capacità di moderazione anche nelle situazioni più spinose. Ci vuole coraggio e determinazione, immagino che questa sicurezza vada di pari passo con l’impegno che ci metti…

PM: Effettivamente ci vuole una forte determinazione sia per continuare su questa strada, sia per tenere monitorare le persone che entrano in questi gruppi per altri scopi, del tutto diversi dalla condivisione. E poi ci vuole impegno, costante e quotidiano, a volte anche notturno!

EDI: C’è qualche successo in particolare di cui sei più orgogliosa?

PM: Non ci sono successi da mostrare, perché per me il successo è anche solo aiutare una persona impaurita, depressa, non motivata ad affrontare le terapie… Tutti i giorni c’è un successo di questo tipo. Poi ci sono i numeri: più siamo più ci aiutiamo e più siamo più possiamo essere ascoltate. I bisogni che emergono nel gruppo, possono essere portati all’attenzione dei decisori. I numeri sono l’equazione necessaria per essere considerati dalle istituzioni.

EDI: L’ultimo anno ha cambiato le abitudini di tutti, siamo stati necessariamente più connessi. Il tuo gruppo ha avuto più iscritti per questo motivo?

PM: Il periodo di lock down ha modificato il quotidiano per tutti, ma ho constatato che non c’è stato incremento di accessi dovuto a questo: la motivazione penso sia nel fatto che le donne sono state maggiormente impegnate nel loro ruolo familiare, diventato più impellente. Come sempre noi donne mettiamo da parte i nostri bisogni per sostenere i bisogni di chi ci è caro. Personalmente sono stata più connessa, perché sono stata più da sola, più isolata: questo mi ha permesso di formarmi ed informarmi maggiormente (grazie anche a voi).

EDI: Grazie! Se tu dovessi cogliere un’esperienza positiva dalla pandemia cosa diresti?

PM: Dall’esperienza della pandemia, mi porto dietro un rapporto ancora più profondo con me stessa, perché il “ritiro” sociale è stato veramente importante, anche per una introversa come me.

EDI: hai dei sogni nel cassetto che vorresti che si realizzassero grazie al tuo impegno?

PM: Sì, ho tre sogni. Mi piacerebbe che ci fosse più coinvolgimento nel volontariato puro, non di facciata: vorrei riuscire a coinvolgere più persone nelle attività associative, perché riuscirei così ad essere vicina a più donne che incontrano il tumore al seno. Mi piacerebbe che le istituzioni dessero più ascolto alle nostre richieste che nascono da esigenze di vita nella malattia, senza burocrazia, così come hanno dovuto fare con la pandemia: accorciare i tempi per risolvere problemi impellenti del territorio locale, regionale o nazionale. Questi sono i sogni con i piedi per terra. L’altro grande è che si scopra come sconfiggere il Cancro: per ora ci conviviamo…