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Il trattamento chirurgico del tumore al seno ereditario

Una buona qualità di vita, per una donna che ha avuto un tumore al seno, non dipende solo dalla sopravvivenza o dalla preservazione del seno, ma anche dalla possibilitàdi non dover rivivere l’esperienza del cancro. La chirurgia personalizzata è un’opzione, da valutare caso per caso, che può offrire alla donna con mutazione BRCA una prospettiva di vita il più possibile libera dal rischio altri tumori.

[su_pullquote]ALBERTA FERRARI è chirurga senologa, responsabile del PDTA “Donna ad alto rischio genetico di CM/CO”, presso la Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia [/su_pullquote]

Da oltre 20 anni si sa che, nel 5-10% dei casi, il tumore al seno si sviluppa a causa di una predisposizione genetica ereditata da un genitore (madre o padre). Questa predisposizione è dovuta a una mutazione dei geni BRCA1, BRCA2, o di geni meno noti, che si può riscontrare attraverso un test genetico e che comporta un alto rischio – 70% circa, con importanti variabili individuali – di tumore al seno, di solito aggressivo e in giovane età, e un aumentato rischio di tumore all’ovaio.

Il trattamento del tumore al seno è multidisciplinare e prevede diverse modalità; in questo caso puntiamo il riflettore solo sull’aspetto chirurgico. Quale sia l’intervento chirurgico ottimale nel trattamento di un tumore al seno BRCA-associato è tuttora oggetto di discussione in ambito scientifico, in attesa di evidenze definitive. In particolare ci si domanda se sia più corretto, quando possibile, offrire una chirurgia conservativa – cioè asportare solo la porzione del seno in cui è presente il tumore – oppure una mastectomia monolaterale – cioè l’asportazione solo del seno malato – oppure bilaterale, e quindi oltre al seno malato rimuovere anche quello sano (in quest’ultimo caso si parla di mastectomia profilattica). Si cerca anche di identificare quali pazienti si avvantaggerebbero di uno specifico trattamento tra le varie opzioni disponibili.

Fino a pochi anni fa la posizione prevalente, soprattutto nella comunità scientifica europea, riteneva adeguato l’intervento chirurgico conservativo, quando fattibile, spesso offerto (o imposto) non solo nel trattamento del tumore al seno primario ma anche in caso di secondo o terzo tumore. Tuttavia questa scelta comporta il rischio molto elevato che si sviluppino nuovi tumori nella parte del seno che non è stata asportata. Uno studio italiano del 2009 ha dimostrato che il rischio che si sviluppi un secondo tumore nel seno operato o nell’altro seno (controlaterale) a 10 anni dall’intervento è, rispettivamente, del 27% e del 25% (52% in totale) per le donne con mutazione genetica, rispetto al rischio del 4% e dell’1% per le donne senza mutazione (5% totale): una differenza statisticamente significativa. Un’altra evidenza forte sulla stima di rischio di tumore al seno controlaterale a 70 anni dopo mastectomia monolaterale proviene dallo studio prospettico EMBRACE, che ha quantificato il rischio dell’83% per le donne con mutazione BRCA1 e del 62% per le donne BRCA2.

Nonostante queste evidenze, la scelta di offrire comunque la chirurgia conservativa si basava su studi che inizialmente non avevano riscontrato un vantaggio in termini di sopravvivenza per le donne trattate con mastectomia bilaterale rispetto a quelle trattate con intervento conservativo o con mastectomia monolaterale. Tuttavia lo specialista deve essere consapevole che per la donna una buona qualità di vita non dipende solo dalla sopravvivenza o dalla preservazione di un seno, ma anche e soprattutto dalla possibilità di non dover rivivere l’esperienza del cancro. Per una donna che ha già subito il trauma di un tumore al seno, un ritorno di malattia ha un impatto devastante sulla sua vita, oltre a mettere seriamente a repentaglio la vita stessa. Inoltre, se il secondo tumore si sviluppa in un seno già sottoposto a un intervento chirurgico conservativo e alla radioterapia, diventa problematica la ricostruzione post‐mastectomia.

Da studi recenti basati su ampie casistiche e follow-up prolungati, in particolare da uno studio multicentrico retrospettivo canadese e da uno studio prospettico olandese sta emergendo l’evidenza scientifica di una migliore sopravvivenza, con un tasso di mortalità sostanzialmente dimezzato, nelle donne con tumore al seno BRCA-associato trattate con la mastectomia bilaterale: un dato che, seppur da confermare e consolidare, non può essere ignorato.

Inoltre una recente sperimentazione ha dimostrato un vantaggio in termini di sopravvivenza, nell’arco di 10 anni, per le donne sane con mutazione BRCA1 che optano per la chirurgia senologica preventiva rispetto a quelle che scelgono la sorveglianza; in caso di mutazione BRCA2 questo vantaggio non è dimostrato, ma è possibile che sia necessario un follow-up a 15-20 anni perché BRCA2 predispone a tumori con storia naturale più prolungata. Un vantaggio di sopravvivenza in donne sane portatrici di mutazione, documentato da uno studio molto rigoroso, può essere verosimilmente “traslato” o almeno tenuto in considerazione, anche per quelle donne che dopo un tumore al seno non avranno recidive o progressioni di malattia, ovvero circa i 2/3 delle pazienti.

Nell’ambito del counselling chirurgico per sostenere la donna nella scelta della procedura è necessario considerare diverse variabili:

  • la prognosi del tumore: più elevate sono le chances di guarigione o di intervallo libero da malattia, più sarà vantaggioso proteggersi da un possibile secondo tumore;
  • la presenza di recettori ormonali che indicano l’ormonosensibilità del tumore: la terapia ormonale indicata in questi casi protegge da altri tumori ormonali, quindi riduce per alcuni anni il rischio di ritorno di malattia;
  • l’età della donna: più il tumore è giovanile (in particolare se compare entro i 40 anni) più elevato è il rischio di secondo tumore; viceversa il rischio si abbassa proporzionalmente all’aumentare dell’età in cui si sviluppa il primo tumore, soprattutto per le donne con mutazione BRCA2.
  • la necessità di prevenire anche il rischio di tumore ovarico: se la chirurgia senologica avviene in corrispondenza del timing ottimale anche per la chirurgia preventiva ginecologica (35-45 anni) è opportuno considerare di effettuare entrambe le procedure.

In conclusione, per i tumori al seno associati a mutazione BRCA è opportuno un approccio che valuti, oltre al trattamento della patologia, anche la prevenzione di nuovi tumori al seno e all’ovaio. In caso di tumore non particolarmente avanzato, lo specialista deve valutare insieme alla donna l’opzione della mastectomia bilaterale in modo personalizzato, spiegandole bene tutte le variabili in gioco, in modo da offrirle un trattamento condiviso e una prospettiva di vita il più possibile libera dal rischio altri tumori.