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Nella diagnosi di tumore come nella cura, il fattore tempo è cruciale

La pandemia di Covid-19 ha messo a dura prova la tenuta dei sistemi sanitari dell’intero pianeta, Italia compresa. Esami e terapie che possono attendere vengono rinviati, i programmi di screening sono congelati, l’accesso agli ospedali è contingentato. Se ancora ce ne fosse bisogno, due nuovi studi ribadiscono tuttavia come nella diagnosi e cura di un tumore, il fattore tempo giochi un ruolo cruciale.

Ritardi e mortalità

Che il ritardo delle terapie oncologiche – siano esse chirurgiche, farmacologiche o radioterapiche – possa peggiorare la prognosi non è certo una novità. Ma di quanto? Una corposa metanalisi coordinata dall’epidemiologo Timothy Hanna della Queen’s University di Kingston, e pubblicato sul British Medical Journal, ha stimato l’aumento della mortalità associata ai ritardi delle cure anticancro per sette tipi di tumore: vescica, seno, colon, retto, polmone, cervice e testa-collo. I ricercatori anglo-canadesi hanno incluso nella revisione 34 studi robusti (17 indicazioni terapeutiche) pubblicati negli  ultimi vent’anni; nel complesso, l’analisi considera circa un milione e duecentomila pazienti. Il ritardo è stato calcolato in settimane intercorse tra la diagnosi e il primo trattamento o tra il completamento di un trattamento e l’inizio del successivo. Per tutte e tre le tipologie di trattamento (chirurgia, chemio e radio), un ritardo di quattro settimane rispetto alle indicazioni è stato associato a un aumento del rischio di morte. 

Nel dettaglio, l’associazione tra ritardo e mortalità è risultata significativa per 13 delle 17 indicazioni. Per la chirurgia, l’incremento è stato del 6-8% (a seconda del tipo di tumore considerato) ogni quattro settimane di ritardo dell’intervento. Per il colon per esempio è stato del 6%. Per alcune indicazioni l’impatto del ritardo di chemio e radioterapia è stato ancora più marcato: il rischio di decesso è aumentato del 9% quando ad essere rinviata è stata la radioterapia dei tumori della testa e del collo. E del 13% quando è stata posticipata la chemioterapia adiuvante nei pazienti con tumore del colon-retto. I ricercatori hanno stimato anche l’impatto di ritardi maggiori: posticipare di 8 settimane la chirurgia del tumore al seno aumenta il rischio di morte del 17%, posticiparlo di 12 settimane del 26%.

Tumori d’intervallo

I cosiddetti “tumori d’intervallo” sono tumori che si sviluppano nel periodo di tempo tra una mammografia (con esito negativo) e quella successiva. Uno studio presentato alla scorsa EBCC, coordinato da Josephine Lopes Cardozo del Netherlands Cancer Institute, dimostra che essi hanno una prognosi peggiore, anche se possiedono la medesima biologia, rispetto a quelli rilevati al momento dello screening. Precedenti studi condotti dallo stesso team avevano già evidenziato come i tumori d’intervallo presentassero più frequentemente un profilo genetico ad alto rischio. Servendosi di un test che esamina l’attività di 70 geni nel tessuto tumorale (MammaPrint), i ricercatori avevano infatti dimostrato come questi tumori avessero un rischio maggiore di sviluppare metastasi a distanza. Tuttavia, ci sono anche tumori rilevati dallo screening che presentano questa firma molecolare.

I ricercatori questa volta hanno esaminato 8 anni di follow-up di 1.102 donne olandesi con tumore al seno partecipanti allo studio clinico internazionale randomizzato di fase III MINDACT. Tutte le pazienti, di età compresa tra i 50 e i 75 anni, avevano aderito al programma di screening nazionale, che prevede per le donne di questa fascia di età di sottoporsi a una mammografia ogni due anni. I ricercatori hanno analizzato le differenze nella sopravvivenza libera da metastasi per valutare, in base alla presenza dei 70 geni, i tumori ad alto, basso e bassissimo rischio. Dalle analisi è emerso che 754 tumori al seno sono stati rilevati durante lo screening mentre 348 durante l’intervallo tra le mammografie. “Nel nuovo studio emerge una differenza significativa nella sopravvivenza tra i tumori ad alto rischio rilevati durante lo screening e quelli – sempre ad alto rischio – diagnosticati nell’arco di tempo tra le mammografie. Il tasso di sopravvivenza libera da metastasi a otto anni, infatti, è stato più alto tra le prime che non tra le seconde: 93% contro 85%” spiega Lopes Cardozo nel comunicato stampa. Dalle analisi emerge che le donne con tumori d’intervallo hanno una probabilità maggiore di 2,4 volte di sviluppare metastasi a distanza rispetto alle altre.