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Finalmente ci siamo: anche nel tumore al seno è iniziata l’era dell’immunoterapia

Milano – Se l’utilizzo in prima linea del farmaco immunoterapico atezolizumab era già stato approvato nell’autunno scorso dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA), la sua rimborsabilità, sancita dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, rappresenta una pietra miliare nel trattamento del tumore al seno in Italia. 

Per le donne con un tumore al seno triplo negativo (circa il 15% del totale), non esistevano finora delle opzioni terapeutiche mirate. Questa categoria di tumori al seno raggruppa diversi carcinomi, aggressivi e difficili da trattare, accomunati dal fatto che le cellule tumorali non presentano né i recettori per gli estrogeni, né quelli per il progesterone e nemmeno quelli per il fattore di crescita epidermico umano (HER2). Da oggi, l’immunoterapia rappresenta un’opzione concreta per le donne del sottotipo PD-L1 positivo.

Già due anni fa, lo studio clinico IMpassion131 aveva dimostrato che, in associazione con la chemioterapia, atezolizumab migliorava il controllo della malattia e aumentava la sopravvivenza in quasi la metà delle donne con un tumore triplo negativo del sottotipo PD-L1+. “In media, la sopravvivenza è stata di 21,3 mesi nel gruppo che ha assunto atezolizumab rispetto ai 17,6 mesi dei pazienti a cui è stato somministrato un placebo. Tuttavia, i migliori risultati sono stati osservati nelle pazienti le cui cellule immunitarie esprimevano una particolare proteina chiamata PD-L1. Tra queste, che rappresentavano il 41% del totale, la sopravvivenza era di 25 mesi contro i 15, 5 delle donne trattate con il placebo” spiega Giuseppe Curigliano, direttore della Divisione Sviluppo Nuovi Farmaci dell’Istituto Europeo di Oncologia.

Atezolizumab agisce contro PD-L1, cioè contro il ligando 1 del recettore di morte cellulare programmata (PD) ed è già utilizzato per il tumore metastatico del polmone. “L’immunoterpico si lega al recettore PD presente sulla superficie dei linfociti T, oppure direttamente al ligando, stimolando il riconoscimento delle cellule tumorali da parte del sistema immunitario” prosegue l’oncologo, ricordando come il risultato sia stato ottenuto dalla caparbietà di ricercatori: “sebbene fossero già emerse alcune evidenze, fino a cinque anni fa si riteneva che nei tumori al seno fosse difficile stimolare la reazione immunitaria. Oggi sappiamo che non è così” conclude Curigliano.